In che modo Dio interviene – se interviene – nelle vicende terrene? Per attualizzare la domanda: cosa sta facendo l’Onnipotente durante la pandemia di coronavirus? Capita di sentire, al riguardo, le risposte più assurde. Per alcuni sarebbe proprio Dio a mandare il virus come punizione per le nostre malefatte, riconoscimento dei diritti degli omosessuali in primis. I seguaci del fondamentalismo apocalittico, dal canto loro, vedono la pandemia come segno premonitore di un’imminente fine del mondo. E via di questo passo. Il guaio è che affermazioni del genere provengono anche da uomini di fede, da sacerdoti e perfino da alti prelati. C’è da pensare che costoro non abbiano mai letto il Libro di Giobbe, né il racconto lucano della torre di Siloe (Lc 13,1-5), né tantomeno l’opera di Teilhard de Chardin. Se lo avessero fatto, saprebbero che è possibile azzardare risposte diverse, senz’altro più sensate, intelligenti e teologicamente coerenti.
L’uomo che conciliò Darwin con le Sacre Scritture
Una delle più convincenti è quella di Pierre Teilhard de Chardin, il gesuita francese che nel secolo scorso riuscì a conciliare mirabilmente Sacre Scritture ed evoluzionismo darwiniano, fede e scienza. Nato a Orcines il 1° maggio 1881, Teilhard entrò nella Compagnia di Gesù nel 1899 e nel 1901 pronunciò i primi voti. La sua formazione fu lunga, complessa e multiforme, secondo la tradizione della Compagnia: Teilhard divenne sacerdote, filosofo, antropologo, naturalista, teologo, insegnò chimica e fisica al Cairo, fu professore di geologia e paleontologia a Parigi... In veste di paleoantropologo prese parte alle spedizioni scientifiche in Cina che condussero, fra il 1923 e il 1929, alla scoperta del “sinanthropus pekinensis” (uomo di Pechino), importante anello dell’evoluzione umana. Nel 1925, su richiesta di alcuni teologi di Lovanio, Teilhard cominciò a riflettere su un problema di enorme portata: come mettere d’accordo il dogma del peccato originale con le nuove scoperte della paleontologia? Possono stare insieme il “sinanthropus” e l’Adamo di Genesi 3,1-24? Sull’argomento Teilhard scrisse alcune riflessioni personali, nulla di dogmatico. Ma quelle pagine arrivarono a Roma, e per il gesuita cominciarono i problemi: i superiori della Compagnia lo spinsero a dimettersi dall’insegnamento di materie filosofiche e teologiche, lo invitarono a non pubblicare più niente su temi del genere e lo rispedirono in Cina. L’ostracismo da parte dei superiori e della Chiesa proseguì ben oltre la morte del religioso, avvenuta a New York nel 1955. Il 30 giugno 1962, pochi mesi prima dell’apertura del Concilio Vaticano II, arrivò addirittura il Monitum del Sant’Uffizio, che accusava le opere di Teilhard di contenere «tali ambiguità ed errori tanto gravi che offendono la dottrina cattolica» ed esortava gli ordinari e i superiori di istituti religiosi, i rettori di seminari e i direttori delle università «a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Teilhard de Chardin e dei suoi discepoli». Teilhard divenne così «il gesuita proibito», per usare l’espressione di Giancarlo Vigorelli.
Benedetto XVI e la liturgia cosmica
Benché il Monitum sia tuttora in vigore, oggi Teilhard de Chardin viene sempre più rivalutato dalla Chiesa: lo si studia in prestigiose università quali la Gregoriana, nascono organizzazioni e gruppi di ricerca come l’Associazione Italiana TdC, si firmano richieste di revoca del provvedimento del Sant’Uffizio e il pensiero del gesuita francese è stato più volte citato nelle encicliche degli ultimi pontefici. Il vertice di questo processo di rivalutazione è stato probabilmente raggiunto da Benedetto XVI il 24 luglio 2009 nella cattedrale di Aosta, quando durante l’omelia ai Vespri pronunciò queste bellissime parole: «La funzione del sacerdozio è consacrare il mondo perché diventi ostia vivente, perché il mondo diventi liturgia. (…) È la grande visione che ha avuto anche Teilhard de Chardin: alla fine avremo una vera liturgia cosmica, dove il cosmo diventi ostia vivente».
L’azione divina nell’universo
Nella visione di Teilhard, l’universo evolve secondo un movimento a forma di spirale convergente che va dalle forme più elementari di esistenza (la materia inorganica, la vita biologica) alle più complesse, fino a culminare nel Punto Omega, il Cristo ricapitolatore. La creazione non va pertanto confusa con l’origine dell’universo, con il Big Bang, ma deve essere compresa come il processo di unificazione degli innumerevoli frammenti risultanti dall’incontro/scontro tra l’Essere (che è Dio) e il nulla: questo è, dal punto di vista teologico, il concetto di “creatio ex nihilo”. Almeno fin qui, il pensiero di Teilhard de Chardin è in linea con quello di Tommaso d’Aquino. Scrive il teologo Carlo Molari: «Teilhard recupera la prospettiva di San Tommaso, il quale include nell’idea di creazione non tanto l’inizio temporale quanto la condizione di dipendenza totale». Poi, però, la visione del gesuita assume tratti alquanto originali. In Note sur les Modes de l'Action Divine dans l'Univers, Teilhard afferma che «là dove Dio opera, a noi è sempre possibile (restando a un certo livello) di non cogliere se non l'opera della natura. La causa prima non si mescola agli effetti: Egli opera sulle nature individuali e sul movimento d'insieme. Dio, propriamente parlando, non fa le cose, ma fa che le cose si facciano».
Un Dio che combatte con noi contro le servitù del mondo
Dio, insomma, è la condizione di possibilità per l’esistenza dell’universo, ma quest’ultimo ha una sua libertà e autonomia: siamo lontanissimi dall’idea del Padre Eterno “che non si muove foglia che lui non voglia”. Per Teilhard, Dio crea il mondo unendosi metafisicamente a esso, in una dinamica di opposizione trinitaria ed extra-trinitaria dalla quale scaturisce non già un universo bell’e fatto, perfetto, compiuto, ma in evoluzione, in divenire. In questo processo creativo non mancano le imperfezioni, i conflitti, la sofferenza, le ingiustizie, la morte. Tutte cose che Dio non vuole e contro le quali, anzi, combatte. Sentiamo cosa dice Teilhard in Mon Univers: «In sé, in modo immediato, le servitù del Mondo – anzitutto quelle che ci intralciano, ci diminuiscono, ci uccidono – non sono né divine né in alcun modo volute da Dio. Rappresentano la parte d’incompiutezza e di disordine che guasta una creazione non ancora perfettamente unificata. E, in quanto tali, non piacciono a Dio; e Dio, in un primo tempo, lotta con noi (e in noi) contro di esse. Un giorno, Egli ne trionferà. Ma poiché la durata delle nostre esistenze individuali è senza proporzioni con la lenta evoluzione del Cristo totale, è inevitabile che non possiamo vederne la vittoria finale, nel corso dei nostri giorni terrestri».
Ecco perché è sbagliato, ingiusto e perfino blasfemo incolpare Dio delle pandemie, dei terremoti e in generale di tutte le sciagure che si abbattono sugli uomini. Al prezioso lavoro di medici e scienziati che lottano contro il Covid-19 e altre malattie è urgente affiancare un radicale ripensamento delle nostre idee su Dio. Le due cose non sono in contraddizione, vanno anzi di pari passo. Si tratta in fondo della stessa opera: cercare di comprendere sempre meglio il mondo in cui viviamo.
Marco Galloni