In ogni incontro fra persone è determinante l'approccio iniziale. Ciò vale anche per l'incontro sacramentale, cioè liturgico, con il Signore che avviene attraverso segni umani, anzi, di norma, attraverso il rapporto con un'altra persona, un interlocutore. Grazie alla riforma liturgica promossa dal Vaticano II tutti i riti sacramentali sono collocati, almeno idealmente, nel contesto di un'assemblea profondamente umana a partire dalla fondata convinzione che Gesù ha manifestato la presenza di Dio attraverso la sua vera umanità (cf DV 12-13). Dimensione particolarmente richiesta nell'approccio con quella sofferenza che nessun ragionamento riuscirà mai a giustificare, ma che solo la compassione può lenire e la grazia della fede illuminare.
In tutte le celebrazioni liturgiche i riti iniziali hanno proprio lo scopo di creare quell'ambiente umano su cui è possibile costruire l'assemblea cristiana, anzi la Chiesa, la famiglia di Dio. A tal fine, oltre alle premesse generali, diventano particolarmente importanti le rubriche che precedono immediatamente i riti iniziale dell'unzione agli infermi. «Il sacerdote che deve dare a un malato la sacra unzione, s'informi anzitutto del suo stato, per tenerne il debito conto nel predisporre sia l'ordine della celebrazione nel suo insieme, sia la scelta della lettura biblica e delle orazioni: tutte modalità da concordare, per quanto possibile, con il malato stesso o con la sua famiglia; sappia inoltre approfittare dell'occasione per spiegare il significato e il valore del sacramento» (UI 66). In breve, si tratta di inserire veramente il sacramento dell'unzione in continuità con quei gesti di compassione con cui Gesù sanava le ferite visibili e invisibili degli uomini (cf UI 5).
Il rituale, dopo aver precisato il contesto umano ideale, per quanto possibile, propone la struttura celebrativa, anche questa ideale, per compiere l'unzione con tutti quegli elementi che, in situazioni normali, sono idonei a esprimere correttamente l'identità e la finalità del sacramento. Non importa se nella maggioranza dei casi le circostanze costringono a un rito di emergenza (cf UI 188-203). Avere sempre presente la situazione ideale è necessario per fare gli opportuni adattamenti con saggezza e senza mutilare o sfigurare il rito. Non è del tutto superfluo ricordare che il colore liturgico previsto per questo sacramento è il bianco (cf UI 69) e non più il viola come nel precedente rituale (Rituale Romanum, tit. V, e. II, 4). Un elemento non così marginale, tenendo conto della mentalità diffusa, per evitare di omologare il rito dell’unzione con quello del funerale.
Il primo gesto rituale è l'antico saluto pasquale: «Pace a questa casa e a quanti vi abitano». Il rituale colloca opportunamente il rito nell'abitazione dell'infermo, anche se sempre più sovente il sacramento è richiesto quando il malato è già in ospedale e per lo più poco o niente cosciente. Questo saluto può essere espresso con il più abituale: «La pace / Il Signore sia con voi»; o con altre espressioni simili, non prima di aver salutato con semplice e umana cordialità i presenti e l'ammalato. Il rito attuale recupera l'aspersione già presente nel precedente rituale come benedizione del malato, del luogo e dei circostanti trasformandola chiaramente in memoria del battesimo. Un gesto senza dubbio significativo se introdotto da poche parole che ne spieghino il significato: i battezzati sono partecipi della vita di Cristo in tutto, anche nella sofferenza. «Ravviva in noi, Signore, nel segno di quest'acqua benedetta, il ricordo del battesimo e la nostra adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza». Bisognerebbe verificare che l'aspersorio non sia secco per evitare che il segno diventi una finzione e cada nel ridicolo. Il riferimento al battesimo richiama anche la dimensione ecclesiale dell'unzione che, come ogni celebrazione liturgica, rende presente tutta la Chiesa e coinvolge tutte le membra del corpo di Cristo che intercedono per il fratello malato e sofferente (cf UI 32). Nessun sacramento è un'azione privata (cf SC 26).
Silvano Sirboni
(da Vita pastorale, n. 5, 2016, p. 54)