Introduzione: la svolta del concilio Vaticano II
Che il concilio ecumenico dovesse occuparsi principalmente della chiesa, era scritto negli antefatti, a partire dal Vaticano I del 1869-70. Infatti la sua sospensione dopo il XX settembre del 1870 richiedeva una ripresa dei lavori, certamente più sollecita di quanto non fosse avvenuto. L’urgenza era suggerita anche dal fatto che l’accentuazione unilaterale del primato papale aveva sfasato notevolmente i rapporti intraecclesiali anche contro le indicazioni stesse del Vaticano I, che si presenta più moderato di alcuni suoi commentatori, se vengono lette con attenzione le cose dette nell’aula conciliare.
Dopo il Vat. I sorsero grosse questioni che occuparono la chiesa. La prima fu la questione sociale, affrontata con ritardo dal papa Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum. È vero che ci fu una lunga consultazione, ma alla fine risuonava la voce del papa come l’unica udibile e poi annunciabile dai figli ubbidienti della chiesa. Già in questa espressione si celava l’idea di una bipartizione nella chiesa stessa: c’era chi insegnava e chi imparava ed eseguiva. Ma cominciavano già a farsi vive alcune esigenze di maggiore attenzione alla realtà della chiesa non riducibile al solo magistero né al solo papa.
Portare a termine il Vaticano I
Tuttavia questa voce solitaria si fece sentire con grande forza nella crisi del Modernismo, che impegnò la chiesa proprio all’inizio del secolo XX e fu superata più che dalla teologia, dalla guerra scoppiata nel 1914. Furono due drammi autentici e di natura totalmente diversa. Ma nel dramma teologico, l’intervento autoritativo del papa Pio X procurò drammi ulteriori per l’inadeguatezza degli interventi, unita alla loro drasticità. Quello del Modernismo fu una questione ed un periodo doppiamente infausto per la chiesa. Certamente uno dei limiti era una mancanza di condivisa comunione ecclesiale, cosa ovvia per un verso, ma assai lontana dalla mentalità del tempo.
Tuttavia le cose non rimasero statiche, perché nella chiesa c’era una universalità di credenti ed una comunità di teologi che stavano rivedendo molte cose, scrutando le testimonianze del passato ed avendo gli occhi aperti sul presente. Del passato si riscoprì la ricchezza della Bibbia, prima del NT e poi anche dell’AT. In pari tempo ci fu anche l’approfondimento sistematico dei Padri della chiesa e la messa in luce della dimensione teologica della liturgia. Tutto questo fervore di iniziative, all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso, portò a considerare profeticamente quel tempo come il secolo della chiesa da parte del cattolico Romano Guardini e del Luterano vescovo di Berlino Otto Dibelius.
Dall’apologetica alla teologia più ampia
Subito dopo si iniziò un lento passaggio dalla considerazione solo apologetica anche ad una teologica, incentrata sul Corpo mistico nella linea del teologo belga Emile Mersch, ripresa poi dalla nota enciclica di Pio XII Mystici Corporis del 1943. Intanto si faceva sentire sempre più forte, seppure tra molti sospetti, la voce del più illustre ecclesiologo del secolo XX, Y. Congar. Ormai la strada era aperta, e sebbene ci fossero ancora molte resistenze in settori molto importanti della chiesa, in particolare nel Santo Ufficio del cardinale A. Ottaviani, che fece strenua opposizione anche in concilio, la linea di una ecclesiologia più in sintonia con il vangelo e le testimonianze vissute della chiesa apostolica e di quella dei martiri, alla fine si mostrò vincente, in quanto consona alla tradizione viva della chiesa.
È vero che spesso questa linea era apparsa come un fiume carsico, ma la sua corrente viva non mancò mai di dissetare la fede dei credenti. Quando da questo fiume apparve inaspettato papa Giovanni, si percepì immediatamente che un vento nuovo si era levato, portando con sé aria nuova, quella dell’antico Evangelo, mai invecchiato. Si era passati da una prevalente concezione giuridica della chiesa ad una teologica ed anche mistica, nel senso che si metteva in luce il suo mistero, inteso come azione di Dio in vista della salvezza. Quanto la nuova impostazione fosse inusuale lo dimostrò la difficoltà del concilio di sintonizzarsi con essa.
La nuova impostazione del Vaticano II
Il primo passo fu proprio la richiesta del rifacimento del testo preparato dalla commissione teologica e il suo radicale cambiamento, già nella distribuzione dei capitoli e nella loro logica connessione. La prima bozza presentava una struttura piramidale della chiesa, con in testa la gerarchia e alla base i fedeli laici. Ciò corrispondeva anche alla fenomenologia della chiesa tanto strutturale nell’edificio, quanto nella sua espressione liturgica, con la chiara divisione tra clero e laici. Con il nuovo testo, che ebbe bisogno di diversi e laboriosi rifacimenti,si arrivò alla famosa rivoluzione copernicana che metteva al primo posto la chiesa nel mistero di Dio, inteso come mistero trinitario rivelato in Cristo, luce del mondo. Al secondo posto veniva collocata la chiesa come Popolo di Dio, in una visione totalmente teologica, dove tutti si riconoscevano fratelli, dal papa fino all’ultimo battezzato.
Era questa la famosa visione circolare della chiesa, costituita in famiglia prima che in gerarchia e potere. Il popolo di Dio sono tutti i battezzati, dotati di uguale dignità fra di loro, sulla base non di titoli o uffici, ma del battesimo nello Spirito. In questo popolo non ci sono sudditi, ma fratelli, soggetti attivi non passivi nell’annuncio del vangelo, secondo le competenze che vengono dai sacramenti e non dalle regole della politica esterna alla chiesa. Questa presentazione della chiesa pone fine ad una concezione durata quasi mille anni, dal tempo della riforma di Gregorio VII tra il 1077 e il 1088. Con essa, anche se contro le intenzioni del papa, era nata la chiesa clericale di stampo teocratico e finalmente superata con la costituzione conciliare che la riportava nelle più respirabili aure evangeliche.
Gerarchia come diaconia in Cristo
E così, con il terzo capitolo trovava posto la gerarchia, che veniva collocata nel suo giusto posto di servizio, riassumendo il significato normale di ministerialità, cioè non di privilegio e di onore, ma di diaconia. Ne deriva evidentemente un suo ridimensionamento, dopo l’ipertrofia dei secoli passati, e il suo riposizionamento a servizio autorevole della chiesa. Sembra però che questo cambiamento così importante non abbia avuto molta fortuna, perché predomina ancora una esteriorità barocca, che non contribuisce alla autentica immagine della chiesa. Tuttavia, ciò che il concilio ha indicato resta come riferimento per ogni autentico rinnovamento, nonostante ritorni ad un passato non rivitalizzabile.
Finalmente i laici hanno trovato posto nella chiesa come persone attive e responsabili e con essi anche i religiosi, nella loro specificità di carisma profetico. Singolarmente non vengono intesi come realtà costitutiva, ma carismatica della chiesa, con la chiara intenzione di mettere in luce che il carisma profetico non è dato a priori, ma esprime in modo originale la libertà dell’azione dello Spirito di Dio. Questo aspetto ha bisogno di ulteriore ampliamento, ben oltre la classica realtà dei consigli evangelici, anch’essi bisognosi di una rilettura che tenga conto degli sviluppi delle scienze umane. Si colloca in questa prospettiva il capitolo dedicato all’escatologia che ricupera la tensione dinamica del vivere cristiano, oltre la visione prevalentemente moralistica dei Novissimi. È tutta l’esistenza cristiana aperta al futuro mondo di Dio, che già opera in questa esistenza e le dà un valore che le verrà confermato nella resurrezione.
Laici e religiosi nella chiesa e nel mondo
Come ultima annotazione sulla svolta conciliare dobbiamo ricordare la costituzione pastorale La chiesa nel mondo contemporaneo, con l’impercettibile cambiamento nel titolo: una e che diventa nel. Si è voluto superare la secolare contrapposizione chiesa – mondo, per mettere in luce invece, la presenza della chiesa nel mondo, come servizio sul modello di Cristo. La chiesa continua la diaconia dell’unico Signore, perché tutti la pratichino nella linea di quella simpatia più volte sottolineata da papa Giovanni. L’atteggiamento della chiesa è di amicizia, non di condanna, come dice Cristo, mandato da Dio non per condannare, ma per salvare il mondo (Gv 3).
Marino Qualizza