Formazione Religiosa

Martedì, 21 Febbraio 2012 22:03

Annotazioni di escatologia cristiana (7) (Mons. Marino Qualizza)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Affermare che il Figlio di Dio è diventato uno di noi, veramente e concretamente, significa affermare che la storia umana ha ricevuto un surplus di qualità, di verità, di bontà, che nessuna forza umana può garantire.

5. L’evento di Gesù Cristo come inizio e compimento dei tempi nuovi

Abbiamo chiuso il capitolo precedente con l’affermazione che la storia della salvezza comincia con la creazione e termina con la resurrezione, mettendo in luce l’unità di questa storia e non frapponendo interruzioni, come era avvenuto con la teologia del passato. A riprova di ciò ci sono i numerosi simboli di fede o credo i quali cominciano tutti con l’affermazione di fede nel Dio creatore del cielo e della terra. Dunque la professione di fede e la riflessione teologica hanno lo stesso svolgimento.
Se ora ci soffermiamo sul centro e cuore di questa storia, cioè su Gesù Cristo, vediamo che le testimonianze bibliche e le prime riflessione teologiche dei Padri della Chiesa dichiarano senza ombra di dubbio che la nostra storia inizia con la creazione e che questa ha in Cristo o per mezzo di lui il suo inizio e poi il suo compimento.
Iniziamo con il vangelo di Luca, il quale  nella genealogia di Gesù, non si ferma ad Abramo, ma risale fino ad Adamo, per terminare nel mistero  di Dio (Lc 3,23-38). Dunque tutta la storia umana è racchiusa nel mistero personale del Figlio di Dio, Gesù di Nazareth. Si dovrà perciò cercare in questo mistero ed in questa identità personale il fatto così singolare ed unico di questa presenza a tutti i tempi della storia e della sua unità.
Due passaggi importanti delle lettere ai Colossesi (1,15-20) ed agli Efesini (c.1) ci danno una prima spiegazione e motivazione, quando affermano che tutte le cose hanno origine per mezzo del Cristo e in lui hanno anche la loro consistenza e che la storia umana ha in lui il suo centro. Riprendono la stessa tematica i due solenni inizi del vangelo di Giovanni e della lettera agli Ebrei: il mondo fu creato per mezzo del Figlio. L’aspetto relativamente nuovo è che qui si adoperano direttamente i termini Figlio e Verbo. Così c’è un’ulteriore indicazione dell’identità di Gesù e del posto che egli occupa nella storia.
Chi ha colto al meglio il significato di queste affermazioni e le ha elaborate in una teologia altamente ispirata è stato Ireneo di Lione, nella seconda metà del II secolo, in quel capolavoro che va sotto il titolo generico di Contro le eresie. In esso egli sviluppa in modo geniale l’affermazione biblica di un’unica storia della salvezza incentrata su Cristo ed orientata a Dio Padre, come principio e fine di tutto. Gli sviluppi ulteriori, in specie quelli apportati dai concili di Efeso (431) e Calcedonia (451) hanno espresso anche il fondamento teologico di queste affermazioni, fondamento già presente implicitamente nelle elaborazioni precedenti, soprattutto nella testimonianza del NT.
Su queste necessarie premesse si può costruire una coerente escatologia cristiana, che ha in Cristo il suo centro. In riferimento ad esso si è detto nel titolo di ‘tempi nuovi’, nel senso che Gesù Cristo è stato e rimane la novità del mondo. Non è questa una affermazione generica, ma specifica in sommo grado. Tanto nuovi sono i tempi  di Cristo che non vengono facilmente riconosciuti ed individuati; addirittura vengono rifiutati e respinti con il loro portatore. Ciò significa che la novità di Cristo è più profonda delle aspettative curiose e mirabolanti che sempre accompagnano la nostra umanità, facendole rincorrere fantasmi e perdere la realtà. Oggi come ieri.
Nella elaborazione dei Padri della Chiesa, l’affermazione che la fede fosse da intendersi e viversi come storia di salvezza era talmente viva, che essi ne dettero anche una classificazione per epoche, da intendersi più in termini teologici che cronologici, che comunque erano compresi. C’è una quadruplice o più spesso triplice scansione di questo sviluppo storico-salvifico, che parte o prima di Mosè, quindi da Abramo, oppure dal primo con la triplice scansione di Legge – Grazia – Gloria. La Legge è legata a Mosè e alla celebrazione dell’Alleanza. La sottolineatura sulla Legge era fatta con evidenti richiami a quanto scrive san Paolo nelle lettere ai Galati e ai Romani, e cioè sul fatto che essa non poteva portare alla pienezza riservata al tempo della Grazia, cioè a Gesù Cristo. Egli è dunque il punto di arrivo della Legge, ma non per una specie di automatismo naturale, ma per il libero e gratuito intervento di Dio, in quanto solo nella libertà ci può essere uno sviluppo storico; infatti solo nella libertà abbiamo la storia della salvezza, come iniziativa di Dio e come risposta umana.
Ma non basta l’indicazione terminologica del tempo di grazia, bisogna specificarne i contenuti. Le indicazioni bibliche con le precisazioni conciliari di Efeso e Calcedonia danno un’ampia e circonstanziata motivazione di questo tempo definitivo e decisivo di grazia, che lo qualifica come tempo nuovo in modo unico. Il tempo della grazia è il tempo della pienezza a motivo dell’identità personale di Gesù. Egli è il Verbo incarnato, il Figlio di Dio divenuto uomo. In questa identità, che ha i tratti dell’incredibile tanto è inaspettata, c’è il segreto, il mistero della pienezza di grazia e di vita.
Le decisioni dei due concili sopra ricordati sono a loro volta straordinarie, perché hanno richiesto una lunga e difficile maturazione, guidata senz’altro  dallo Spirito Santo, ma elaborata nel linguaggio della comunicazione umana. Aver detto che la persona che individua anche l’umanità di Gesù è quella del Verbo di Dio, significa aver messo il sigillo sulle parole del NT e averle orientate nell’affermazione dell’evento più grande, misterioso e affascinante della storia umana. Anche se esso, in quanto mistero, non potrà essere registrato dalla storiografia, costituisce tuttavia l’evento che ha cambiato la nostra storia, in quanto ha cambiato il cuore degli uomini, da cui dipendono le scelte  che caratterizzano la storia.
Affermare che il Figlio di Dio è diventato uno di noi, veramente e concretamente, significa affermare che la storia umana ha ricevuto un surplus di qualità, di verità, di bontà, che nessuna forza umana può garantire. È per questo motivo che si dice con verità, che la fede cristiana è in primo luogo una storia, un evento e solo dopo una morale. Questa infatti è una conseguenza diretta ed immediata di quanto Dio in Cristo ha fatto e donato all’umanità. Ciò che,forse, l’umanità desiderava inconsciamente nel suo profondo, cioè di poter incontrare  Dio personalmente, si è avverato con Gesù Cristo, in modo tale che con lui la nostra umanità ha raggiunto il massimo della sua realizzazione. Infatti, la nostra storia è divenuta la storia di Dio nell’incarnazione del suo Figlio. I tempi da lui inaugurati sono assolutamente ‘tempi nuovi’.
In tale modo, possiamo dire che questi tempi sono anche i definitivi e che la conclusione positiva della storia umana è già racchiusa nell’umanità di Gesù. Certamente non è conclusa, ma contenuta in nuce senz’altro sì, di modo che l’escatologia non è rimandata a tempi da definire, ma inizia con il Cristo. In questo senso la lettera agli Ebrei (13,8) può affermare che ‘Cristo è ieri, oggi e nei secoli’, cioè sempre e per sempre, perché egli, nella sua persona divina racchiude e comprende tutti i tempi.
Ma c’è il terzo momento da prendere in considerazione, quello della Gloria. Esso si riferisce nuovamente al Cristo, ma glorificato nella sua umanità con la resurrezione. È essa il punto arrivo di tutta la storia salvifica, per Cristo e per noi. Infatti con la resurrezione si giunge alla fine del processo salvifico, perché si arriva alla comunione piena con Dio nella trasformazione definitiva della nostra umanità.
Il primo che l’ha raggiunta, come prototipo dell’umanità, secondo la lettera ai Colossesi, 1, 15-20, è il Cristo, perché solo lui poteva varcare i confini della vita e della morte, aprendo definitivamente la strada alla visione di Dio, da cui proviene a noi la vita.  La comunione con Dio è il vertice cui è arrivata la nostra umanità in virtù della salvezza e redenzione operata per noi dal Cristo. E’ vertice perché nulla è più grande e più alto di Dio; nello stesso tempo è dono ed aspirazione. È talmente collegata all’intima natura della nostra esistenza, che senza la comunione con Dio non possiamo essere definitivamente felici; ed è dono gratuito, perché Dio nessuno lo può né conquistare né meritare. Così, il mistero alfine svelato della nostra vita, è la gratuità di Dio come fonte di libertà nell’amore.

Mons. Marino Qualizza

 

Letto 2084 volte Ultima modifica il Martedì, 21 Febbraio 2012 22:17
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search