Formazione Religiosa

Domenica, 24 Luglio 2011 17:41

Di chi sono i soldi ? (Giordano Muraro)

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Le ricchezze non sono di chi le possiede, nel senso che il possesso gli conferisce il diritto di farne ciò che vuole. Continuano a essere di Dio, che le destina a tutti.

I soldi sono miei. Cosa vuol dire? Qualcosa può essere di una persona in due modi: o come realtà sulla quale ha un diritto assoluto (jus utendi et abutendi, dicevano i latini), o come affidatario o amministratore di cui dovrà rendere conto. In che modo le ricchezze possono essere di una persona? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro. L'uomo per il fatto solo di esistere ha diritto alla sua vita e a tutto ciò che è necessario per sopravvivere e per sviluppare in modo umano la sua vita. Al suo cospetto troviamo i cosiddetti "beni materiali", cioè l'insieme delle realtà create che fanno da cornice e da nutrimento alla sua vita.

Il diritto al necessario per vivere

L'universo è come il grande utero che contiene tutti i viventi, e da esso tutti gli uomini traggono il loro nutrimento, attraverso il cordone ombelicale costituito dal diritto naturale alla vita. Tutti hanno diritto di servirsene, in forza del principio che sopra abbiamo enunciato, cioè in forza del diritto ad avere il necessario per vivere e svilupparsi.
Qui nasce un problema: in che modo l'uomo esercita questo diritto? Se tutto è di tutti, si potrebbe cadere in disordini e conflitti continui per arrivare ad avere quello di cui ognuno ha bisogno. Perché? Perché i beni materiali a differenza dei beni spirituali non possono essere posseduti simultaneamente da molti. Il senso della giustizia, la bontà d'animo, la verità, il godimento estetico possono essere posseduti simultaneamente da molti, anzi è auspicabile che tutti ne siano forniti. Ma un paio di pantaloni non possono essere posseduti simultaneamente da molti. E se alla sera vado a dormire in una stanza che ho arredata convenientemente per riposarmi, non è ragionevole che la trovi occupata da un altro, il quale giustifica la sua presenza dicendo che tutto è di tutti.
Per questo l'uomo ha creato un modo particolare di esercitare questo diritto naturale, perché ognuno possa arrivare ad avere quello di cui ha bisogno, ma eliminando conflitti e disordini, Questo modo è la proprietà privata che conferisce il diritto a possedere in modo esclusivo un determinato bene. Ma dobbiamo capire bene ciò che fonda la proprietà privata: non è uno strumento per accumulare nelle mani di pochi le ricchezze del creato, perché, essendo impossibile il possesso simultaneo dei beni materiali, se uno accumula per sé oltre il suo necessario, lo sottrae agli altri. Ecco perché è stato necessario precisare e distinguere due momenti nella proprietà privata: il dominio e l'uso.
San Tommaso nella II-II, q. 66, a. 2 presenta una distinzione che la Chiesa ha fatto sua nel tempo. Egli distingue tra il potere di procurarsi e di gestire i beni materiali (facultas procurandi et dispensandi) e il godimento di essi (usus): «Due cose competono all'uomo nei confronti dei beni esteriori. Anzitutto il potere di procurarseli e di gestirli. E in questa fase gli è permesso di possedere questi beni in proprio... In secondo luogo gli compete il godi- mento di essi, e secondo questo aspetto l'uomo non può possedere questi beni come se fossero propri, perché sono comuni, nel senso che deve essere disponibile a farne parte a chi ne ha bisogno».
Tutte queste distinzioni possono sembrare complicare la relazione dell'uomo con i beni materiali. E allora spieghiamoci con una parabola di Gesù, quella dell'amministratore infedele. Torna il padrone nell'ora in cui l'amministratore non se l'aspetta e gli dice: «Rendi conto della tua amministrazione». E se l'amministratore non avrà svolto coscienziosamente il suo compito, verrà punito. Ma l'amministratore è un uomo di mondo, e sa come sbrogliare la matassa a suo vantaggio. Utilizza ancora il poco tempo che ha e continua la sua disonestà facendosi degli amici con i beni del padrone.

Le ricchezze: non privilegio ma responsabilità

Dalla parola di Dio traiamo queste conclusioni. Le ricchezze non sono di chi le possiede, nel senso che il possesso gli conferisce il diritto di farne ciò che vuole. Continuano a essere di Dio, che le destina a tutti. Chi le possiede è un amministratore che ha il diritto-dovere di gestirle nel modo migliore per soddisfare le proprie necessità umane, ma sapendo che le ricchezze che superano le sue esigenze non sono più sue, ma sono di chi ne ha bisogno. O meglio, sono ancora sue nel senso che ha il diritto-dovere di gestirle nel modo più conveniente per quelli che non ne hanno. In questo senso le ricchezze non sono un privilegio, ma diventano una responsabilità. Il grande cambiamento di mentalità che il ricco deve operare in sé rispetto ai beni materiali (la grande conversione) è di non considerarsi un privilegiato, ma una persona che è investita di una grande responsabilità. Ha in mano dei beni che deve saper bene amministrare per sé e per gli altri. In che modo? Nel modo migliore secondo le condizioni culturali del tempo in cui si vive. Nel passato si pensava all'elemosina, oggi si pensa, per esempio, all'imprenditoria che crea posti di lavoro, in modo che ogni persona possa raggiungere con il suo lavoro una autonomia economica che gli assicura il necessario alla sua vita e al suo sviluppo.

Per questo lo Stato deve difendere la proprietà privata, ma nello stesso tempo deve vigilare perché la proprietà privata venga esercitata non per accumulare molto nelle mani di pochi, ma perché diventi lo strumento per cui è stata inventata, cioè per permettere in modo più ordinato e fruttuoso l'accesso di tutti ai beni materiali.
Le difficoltà nascono dal fatto che non è semplice trovare delle leggi che realizzino queste finalità legate alla natura dei beni materiali, e dal fatto che i potenti impediscono spesso ai governanti di svolgere questo compito, condizionandoli con il loro potere economico. Così la politica viene asservita all'economia, e si crea una società disordinata in cui si contrappongono ricchi e poveri, dando origine alla grande ingiustizia che può sempre esplodere in modo incontrollato provocando conflitti e disordini con grave danno per tutti.

«Ne faccio quello che voglio»

Ora è più facile capire l'irrazionalità di questa affermazione. Il possesso non conferisce al proprietario il potere di fare quello che vuole delle cose che possiede. Il fortunato che possiede un Raffaello non può servirsi di questo quadro per riparare il tetto che fa acqua, dicendo che delle sue cose ne fa quello che vuole. Ma tutti devono servirsi delle cose tenendo conto della loro natura. Un quadro è fatto per suscitare emozioni estetiche e non per rabberciare un tetto. E chi lo possiede deve possederlo tenendo conto di questa sua naturale destinazione. Per questo dobbiamo chiederci a che cosa le ricchezze servono. Abbiamo già detto che servono a soddisfare i bisogni della vita e della crescita umana di tutti gli uomini. E la proprietà privata deve servire a realizzare questa loro finalità. «La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in un'ultima analisi, non un fine, ma un mezzo» (Paolo VI, Populorum progressio 22-23).
Ma non basta. Dobbiamo continuare la nostra ricerca e chiederci a cosa più in particolare siano destinate. San Tommaso fa una affermazione che all'inizio sembra lontana dalla realtà quanto il cielo dista dalla terra. Dice che servono a far crescere nelle virtù. Le ricchezze sono funzionali alla virtù. Se confrontiamo questa affermazione con quello che vediamo intorno a noi, abbiamo l'impressione che san Tommaso viva nel mondo dei sogni. Tutti dovrebbero vedere e vivere le ricchezze come strumenti che li aiutano a essere di più "uomo". Invece vediamo che troppe volte servono a creare divisioni, a soddisfare capricci e vizi, ad alimentare risentimenti e odio, a provocare conflitti e guerre. Eppure la maggiore preoccupazione dell'uomo dovrebbe essere quella di conservarsi uomo e di crescere nella sua umanità.
Le ricchezze e ogni altra realtà dovrebbero essere strumenti che gli servono per sviluppare la propria e l'altrui umanità. Ha bisogno di cibo, vestiti, casa, lavoro, divertimento, salute, libri, organizzazioni, strutture, ricerca, spostamenti, decoro, ma ha bisogno anche di cultura, di giustizia, di spiritualità, di comunicazione, di solidarietà, di amore, di equilibrio fisico e psichico (mens sana in corpore sano), di organizzazioni sociali e politiche convenienti, ha bisogno di Dio, di cercarlo, di stabilire con Lui una relazione, ha bisogno di ambienti in cui trovarlo e ritrovarsi... Le ricchezze devono servirgli per raggiungere questi beni. Tutti e da parte di tutti.
Purtroppo l'uomo porta in sé anche delle esigenze perverse. È quel famoso campo di cui Gesù parla nella parabola del grano e della zizzania. L'uomo non è solo anelito al bene, al vero, al bello; porta in sé anche molte tendenze che lo inclinano al male che impoverisce sé e gli altri. Con le ricchezze può coltivare il grano buono, può promuoverlo, proteggerlo, difenderlo; ma può servirsene per favorire e incrementare la zizzania. Si ha allora l'abuso delle ricchezze che non servono più a creare un uomo e una società virtuosi, ma favoriscono la crescita di un uomo superbo che ritiene di poter dominare gli altri e fare tutto quello che serve a soddisfare i suoi capricci, la sua lussuria, la sua ambizione, il lusso sfrenato, la capitalizzazione selvaggia, l'avarizia e tanti altri vizi e difetti che impoveriscono chi possiede le ricchezze e gli altri uomini. Il ricco epulone insegna!

Conclusione

Chi usa le sue ricchezze per soddisfare le sue voglie viziose, e cerca di giustificarsi con la scusa che ha bisogno di procurarsi tempi di distensione, non usa le sue ricchezze, ma ne abusa. Da un punto di vista morale è condannabile, anche se da un punto di vista giuridico non è perseguibile.
Ma oltre a fare delle ricchezze uno strumento di un suo impoverimento umano, produce mali, come l’asservimento delle persone ai suoi capricci, l'offesa di coloro che faticano anni per guadagnare quello che il ricco sperpera in una sera, l'esempio del guadagno facile, la corruzione. Non si può dimenticare il grande principio che tutto quello che l'uomo fa, deve essere finalizzato alla crescita umana di sé e degli altri, e non per offendere la propria e l'altrui umanità.
San Tommaso nel Contra gentes riassume in modo semplice e chiaro questo insegnamento. «I beni esterni sono necessari per la virtù, perché per mezzo di questi provvediamo alle necessità del corpo e aiutiamo il prossimo. Ma le cose che sono ordinate a un fine, [...] ricevono la loro misura (modus) dalle esigenze del fine. Perciò in tanto le ricchezze sono buone, in quanto servono all’uso della virtù; se invece questa misura non è conservata, tanto da impedire l'uso della virtù, le ricchezze non devono essere più considerate un bene, ma un male. Per questo avviene che per alcuni le ricchezze sono un bene perché ne usano per la virtù; per altri invece sono un male, perché sono impediti dal praticare la virtù» (III C.G., c.135).

Giordano Muraro

(da Vita pastorale, n. 3, marzo 2011)

 

Letto 2638 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Gennaio 2014 09:34
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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