Il cammino verso la valorizzazione di tutte le risorse ecclesiali presenti sul territorio prosegue, sia pure con ritmi e tempi differenziati. Quali ambiti pastorali registrano i maggiori impegni laicali.
Le modalità per avviare una riflessione sul complesso mondo del laicato italiano possono essere diverse. Qui si sceglie di partire dai dati sulla presenza e sull'azione dei laici nelle nuove forma di comunità fra parrocchie rilevati dalla recente ricerca del Centro di orientamento pastorale (COP) presentata nella 60ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale del 2010 che si è tenuta a Capiago (Como).
Un dato globale. Sappiamo, sia dall'osservazione partecipata sia dalla ricerche sul tema, che la pastorale del nostro paese è segnata intensamente dalla presenza e dall'azione del clero. Questa tendenza si riscontra anche nelle nuove forme di comunità fra parrocchie (chiamate, per lo più, unità o comunità pastorali)? La risposta delle 100 diocesi italiane (sul totale di 226), che costituiscono il campione sottoposto ad analisi tramite questionario, è che il 41% delle nuove forme di comunità fra parrocchie sono in mano solo ai presbiteri; il 65% riconduce la pastorale all'animazione di un'équipe in cui sono presenti stabilmente presbiteri, laici, religiose e religiosi.
Se si confrontano questi dati con quelli della ricerca Grolla si riscontra che nel 1999 solo il 23% delle diocesi registra la conduzione condivisa fra risorse ministeriali diverse. Dunque, questi dati certificano una notevole evoluzione della mentalità e della prassi di cooperazione pastorale in favore della sinodalità. Il cammino verso la valorizzazione di tutte le risorse ecclesiali presenti sul territorio prosegue, ovviamente con ritmi e tempi differenziati e non quantificabili da una ricerca.
Vediamo ora più nel dettaglio quale identità viene riconosciuta ai laici e quali servizi pastorali sono loro affidati, nelle parrocchie con parroco residente e in quelle senza.
Laici nelle parrocchie con parroco residente. Il 41% delle diocesi rileva che ai laici sono ufficialmente riconosciute forme di ministerialità; il 54% che esse non lo sono. Come già per la ricerca Grolla, qui si assume la nozione di ministero non ordinato così come descritto in Evangelizzazione e ministeri della Cei in cui, tra gli elementi che caratterizzano il ministero laicale, si pone il "riconoscimento" della comunità e nella comunità da parte di chi deve esercitare il servizio dell'autorità (n. 68). Dunque, i dati si riferiscono a servizi laicali ufficialmente affidati dal vescovo o dal presbitero nella comunità e, in quanto tali, dalla comunità stessa riconosciuti. Non riguardano gli impegni che il laico assume senza l'ufficialità.
Si sa come, attorno a questo tema, la problematica teologico-pastorale sia ancora molto aperta anche solo a livello di terminologia. Il dato conferma, comunque, una certa resistenza, dovuta con ogni probabilità anche ad altri fattori: da un lato, la propensione dei laici stessi ad agire come dipendenti più che ad assumere dirette responsabilità, impreparazione, indisponibilità ad impegni a lungo termine…, dall'altro, da parte del clero, difficoltà a passare da un'apprezzata collaborazione del laicato al riconoscimento ai laici di corresponsabilità in servizi o ambiti pastorali. Esistono però, in alcune diocesi, tentativi in senso opposto.
Ai laici - affermano le diocesi - sono affidati ufficialmente servizi diversi e in percentuali differenti. Non appaiono tuttavia servizi pastorali nei quali la loro presenza è preponderante in rapporto a quella di altre risorse pastorali (clero, religiosi e religiose). Dieci anni fa il quadro era il seguente: il 23% dei laici era dedito alla pastorale familiare (oggi è il 30%); il 22% alla pastorale della carità (oggi è il 30%); il 16% alla pastorale giovanile contro il 28% di oggi; il 18% si dedicava alla preparazione ai sacramenti (oggi è il 27%). Appare dunque in aumento la percentuale dei laici a cui sono ufficialmente affidati i servizi relativi alla pastorale della famiglia (corsi in preparazione al matrimonio, pastorale dei fidanzati, delle giovani coppie…), alla pastorale della carità, alla pastorale giovanile e nella pastorale in preparazione ai sacramenti, in particolare in occasione della richiesta del battesimo.
Laici nelle parrocchie senza parroco residente. Nelle parrocchie senza parroco residente cambia la tipologia di servizio affidata ai laici. Alcuni impegni quali custodia, apertura e chiusura della chiesa (74%) e i servizi amministrativi e manutentivi (51%) sono loro attribuiti, anche in forza del fatto che essi sono residenti nel luogo. La loro azione, inoltre, è valorizzata ancora nel servizio agli ammalati (45%), come ministri straordinari della comunione (68%) e, come già nel caso delle parrocchie con parroco residente, nella catechesi in preparazione ai sacramenti (57%). È cresciuta, mediamente almeno del 20% anche la percentuale di laici ai quali le diocesi riconoscono tali impegni.
Sembra, inoltre, che le diocesi stentino ad affidare ai laici incarichi ufficiali di guida della pastorale e di presidenza della preghiera comunitaria; ruoli ancora strutturalmente ancorati alla figura del presbitero. Ne è prova la risposta alla domanda sulla pratica delle liturgie domenicali senza il presbitero, così come indicato nel Direttorio del 1988. Solo nel 13% delle diocesi esse sono praticate (nel 15% nella ricerca Grolla). Il dato può essere letto in modo positivo, se indica che è ancora possibile, con l'attuale numero di presbiteri, ottemperare al servizio domenicale dell'eucaristia. In modo negativo se, per voler ottemperare ad ogni costo a questo servizio, il presbitero riduce la propria azione pastorale del tutto o quasi al sacro - trasformandosi in presbitero itinerante - e se, ciò facendo, rinuncia del tutto o quasi al compito di guida della comunità.
Tra Nord, Centro e Sud. Proviamo ad osservare come nelle diverse parti d'Italia vengono ufficialmente valorizzati i laici nelle parrocchie senza parroco residente: custodia, apertura e chiusura delle chiese (al Nord 84%, al Centro 63%, al Sud 40%); ministero e servizio ai malati (51%, 44%, 10%); presidenza della preghiera comunitaria (22%, 12%, 0%); catechesi e preparazione ai sacramenti (67%, 38%, 40%); ministero straordinario della comunione (80%, 50%, 20%), coordinamento della vita pastorale (10%, 6%, 0%); servizio amministrativo (67%, 30%, 19%).
I dati confermano tre diverse sensibilità pastorali tutte presenti, in proporzioni diverse, nelle diocesi del paese. Le diversità appaiono chiaramente se si comparano i dati relativi alla valorizzazione del laicato, uno dei tratti che connotano basilarmente le nuove forme di comunità fra parrocchie. Il modello di pastorale parrocchiale tradizionale, segnato soprattutto dalla preminenza del clero, resiste anche nelle diocesi del Nord, pur se in percentuale assai minore di quelle del Centro e del Sud: qui si nota anche l'assenza di laici a cui sia affidato il compito della presidenza della preghiera comunitaria e il coordinamento della vita pastorale.
Inoltre, occorre ricordare la specificità della vocazione laicale. Osserva il concilio che, «come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno la loro parte attiva nella vita e nell'azione della chiesa» (AA 10), tuttavia la specificità della loro condizione non è l'impegno intra ecclesiale, ma quello di «animare e perfezionare l'ordine temporale con lo spirito evangelico» (AG 21). Le nuove forme di comunità fra parrocchie snaturerebbero l'identità conciliare del laicato e la propria, se lo riducessero a prestatore d'opera, seppure corresponsabile, nella vita interna della comunità ecclesiale e non lo proiettassero verso l'impegno nel temporale che gli è proprio, soprattutto in ambito sociale e politico.
Una realtà dalle diverse sfaccettature. A ragion veduta, possiamo dire che - pur constatando una diminuzione quantitativa - i laici, in parrocchia, non mancano. Essi rappresentano il tessuto connettivo e la garanzia di futuro anche per le nuove forme di comunità fra parrocchie. Si tratta di una realtà variegata. Permangono le differenze di genere: sono in gran parte le donne a sostenere gli impegni pastorali. Tra esse più le spose, le mamme, le nonne che le giovani. Sono meno i laureati, di più i diplomati, le casalinghe e, meno ancora, gli operai e le operaie. Sono pochissime le coppie. Per lo più si tratta di volontari che esercitano un servizio a tempo determinato. I più non hanno alcuna ambizione di essere sacerdoti in miniatura. Altri, invece, si attendono molto in promozione ecclesiale e non hanno un'idea sufficientemente chiara del loro compito.
Non mancano sofferenze e disagi. Pochi sono, in Italia, i laici remunerati a titolo professionale. Il coinvolgimento di donne e di uomini battezzati e cresimati - nelle parrocchie come in altri luoghi ecclesiali - rende possibili servizi e ministeri - sulla base di carismi loro propri o in virtù di una chiamata ecclesiale - preziosi per l'annuncio del vangelo, in particolare nelle nuove sfide pastorali che vengono da fenomeni "nuovi" quali i flussi migratori dall'estero, la clandestinità, la relazione con e fra diverse religioni, l'accoglienza di nuovi soggetti sociali…
I dati della ricerca testimoniano la presenza di catechisti, animatori liturgici, responsabili della pastorale sacramentale, del servizio di pastorale giovanile, familiare, terza età, impegnati in campo amministrativo ed economico, raccolta indumenti per poveri…, fino ai servizi più modesti quali la pulizia dei locali e della chiesa. Non è possibile quantificare quanti siano né penetrare in profondità il loro status operativo e le motivazioni che li spingono a decidere per il servizio pastorale.
Il COP sta realizzando un sondaggio che offrirà, certamente, informazioni più precise e dettagliate per quanto riguarda sia la presenza e l'azione del laico nelle parrocchie sia la relazione che con essi stabiliscono i ministri ordinati.
Tra resistenze e innovazione. Si può osservare che anche oggi la tipica presenza del laico nel servizio pastorale riflette i tratti oscillanti della sua storia nella chiesa. Lascia, infatti, intravvedere la varia percezione dei ruoli e dei compiti succedutisi anche per influsso degli eventi sociali, culturali e politici che hanno fatto da contrappunto alla vita della chiesa stessa.
La visione di chiesa presentata dal Vaticano I, ad esempio, indica una comunità di "diseguali", non solo perché alcuni sono ecclesiastici e altri laici, ma soprattutto perché ai primi è dato di santificare, insegnare governare, mentre ai secondi tutto ciò non compete. Anche se il Vaticano II ha prospettato tutt'altra figura ecclesiale di laico, alcune tensioni covano sotto la cenere e rimane diffusa - non senza la complicità interessata del clero e di parte del laicato stesso - l'idea del laico come "clero di riserva".
I dati relativi alla nostra indagine confermano questa tendenza ma, nello stesso tempo, registrano prassi pastorali di pieno riconoscimento e di attenta valorizzazione dell'identità propria dei laici, fondata sulla spiritualità battesimale che li rende sacerdoti, profeti e re non per se stessi, ma per la chiesa e per il mondo intero.
La riflessione teologica pare segnare il passo. La Commissione pontificia istituita «anche e soprattutto per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dell'abbondante fioritura attuale dei ministeri affidati ai fedeli laici» si dimostra piuttosto silenziosa. Nella prassi pastorale si moltiplicano gli incarichi affidati ai laici e lo si fa, qualche volta, navigando a vista e non senza qualche conflitto con i ministri ordinati. I fatti e le ricerche attestano che, anche in questo ambito, si sta vivendo un tempo di passaggio. Si percepisce che i modelli fino ad ora praticati non sono più adeguati ma, nel frattempo, si ha difficoltà ad individuarne di nuovi.
Sostituzione e supplenza. Ma come si percepiscono i laici stessi e in che modo, mediamente, essi vengono valorizzati? L'osservazione partecipata e anche i dati esposti paiono suggerire due principali e diffuse modalità di interpretazione del servizio dei laici nella pastorale. È noto che il clero è in netta diminuzione numerica, scarseggiano le vocazioni al ministero ordinato e sono i aumento - ma non ancora in modo significativo - le vocazioni al diaconato permanente.
Nelle comunità ecclesiali è diffusa una certa sofferenza per il forzato distacco del prete dalle parrocchie, in specie da quelle più piccole. «Ciò spiega - rileva Routhier - perché il dibattito riprende sul ministero in genere e perché, di fronte a nuovi cambiamenti - determinati soprattutto dall'impossibilità di sostituire i parroci sempre meno numerosi -, si discuta sui "nuovi ministeri", sulla loro specificità, sulla loro articolazione con il presbiterato e ciò sullo sfondo di importanti mutamenti dell'istituzione parrocchiale» e del contesto sociale e culturale. Oltre la via della sostituzione del ministro ordinato da parte del laico, è presente anche un'altra modalità interpretativa della presenza del laico: quella della supplenza. Non mancano laici che sono orientati ad «assumere responsabilità prossime a quelle dei sacerdoti, arrivando ad affidare loro l'ufficio di pastore nella comunità».
Il fenomeno sostituzione e supplenza pare prendere consistenza soprattutto nelle parrocchie senza parroco residente, rispondendo ai bisogni immediati e risolvendo qualche problema. Ci si chiede, però, se questa sia la strada da percorrere per favorire l'identità propria del laicato e la spiritualità che lo contraddistingue (AA 29).
Il laico come partner del ministro ordinato. Il dubbio stimola ulteriori interrogativi. Sostituzione e supplenza non rischiano forse di creare tensioni, qualche volta anche avversità? Inoltre: è corretto ritagliare l'identità laicale sul modello presbiterale, quando il laico stesso sa che non potrà mai essere del tutto il prete di cui si chiede di prendere il posto? L'immagine del "prete incompiuto" non rimarrà forse appiccicata alla sua pelle come un "enigma" irrisolto?
A questi interrogativi che Routhier stesso si pone e che facciamo nostri, egli risponde con una sua considerazione del tutto condivisibile: «La costruzione di un'identità per imitazione di un "altro" che non si arriverà mai a imitare completamente oppure per opposizione al proprio rivale che possiede qualche cosa che si vorrebbe usurpargli, è "psicologicamente disastrosa". D'altro canto, essa lascerà ai preti la sensazione che si voglia prendere loro il posto o sottrarre ciò che loro appartiene in modo specifico. Quelli che dovevano essere collaboratori nel servizio del vangelo diventano allora concorrenti».
Queste soluzioni non paiono utili neanche sul piano della missione. Routhier soggiunge: se la supplenza «ha permesso di mantenere in buono stato la rete parrocchiale ereditata dal passato, ci si rende sempre più conto che la vera sfida della missione sta altrove e che il mantenimento di tutte le parrocchie non assicura più oggi un vero rilancio dell'attività missionaria della chiesa; per fare ciò sembra che ci sia sempre più bisogno di ministeri specifici, che operino in ambiti particolari, e spesso su di una rete territoriale più ampia della parrocchia di un tempo. Costruire l'identità ministeriale dei laici a partire dall'identità presbiterale, si rivela dunque problematico, tanto nelle pratiche ecclesiali, quanto sul piano della pertinenza teologica».
La prassi per rispettare l'originalità della vocazione sia dei laici che dei ministri ordinati pare quella della relazione fra partner e cioè quella che, nei documenti della Cei, viene spesso indicata come cooperazione. In questa prospettiva, il ministero presbiterale viene inteso come ministero di presidenza e permette al suo fianco l'esistenza di altri ministeri specifici. Non più dunque un rapporto di sostituzione o di supplenza, ma la complementarietà di vocazioni diverse al fine di «stare nella chiesa in modo adulto, con coscienza libera e matura, né dipendente dai pastori né in contrapposizione con loro».
Laici dedicati in ministeri di sintesi. Le sfide che attendono le comunità, in particolare le nuove forme di comunità fra parrocchie, hanno bisogno di laici dedicati, ossia di uomini e donne adulti che offrano un servizio stabile, che siano disponibili ad assumere nuove e diverse responsabilità e abbiano il «coraggio della proposta». Da questa prospettiva l'associazionismo ecclesiale e, in particolare, l'Azione cattolica «che da sempre coltiva uno stretto legame con i pastori della chiesa, assumendo come proprio il programma pastorale della chiesa locale e costituendo per i soci una scuola di formazione cristiana», possono dare un contributo eccellente.
Non solo. È convinzione diffusa che occorrono figure laicali di sintesi, vale a dire laici-adulti-dedicati che maturano una visione globale sia della vita cristiana che del servizio alla comunità locale. Laici, cioè, che si pongano da una prospettive che guarda oltre l'impegno diretto limitato a qualche ambito della pastorale e che diano vita a ministeri di sintesi, ossia a figure ministeriali - singoli, meglio piccoli gruppi di persone, laici, famiglie, religiose, diaconi permanenti…- partecipi dell'esercizio della cura pastorale di una comunità affidata ad un parroco o ad un presbitero moderatore di una unità pastorale.
Non si tratta solo di cercare animatori, catechisti, persone dedicate al volontariato nell'ambito caritativo…, ma di formare credenti che, avendo maturato un intenso senso di chiesa - a nome della comunità e preoccupati di creare appartenenza - siano capaci di creare "luoghi" di sintesi attraverso "proposte" che conducano a crescere nella fede, assumere la mentalità cristiana e l'incontro con testimoni, e sostengano la fedeltà alla propria vocazione di laici testimoni del vangelo del regno di Dio nel mondo.
Queste figure laicali possono, a pieno titolo, diventare partner dei ministri ordinati senza alterare né la propria identità né quella del presbitero o creare contrapposizioni, ma curando le relazioni e aprendosi alla vita della parrocchia nel suo insieme e alle sfide del territorio.
Giovanni Villata
(da Settimana, n. 5, anno 2011)