Formazione Religiosa

Lunedì, 18 Aprile 2011 21:44

La teologia declina la fede nella storia (Sara Melchiori)

Vota questo articolo
(1 Vota)

La teologia deve uscire dalla torre d'avorio nella quale talvolta amava rintanarsi e rendersi comprensibile al mondo d'oggi dialogando con i molti ambiti della vita. Pena la sua sterilità.

La teologia declina la fede nella storia

di Sara Melchiori

Una non casuale coincidenza ha caratterizzato il Dies Academicus per il sesto anno di vita della Facoltà teologica del Triveneto (il primo dopo il quinquennio ad experimentum). L'ufficialità del momento ha infatti visto la prolusione del teologo gesuita e già vescovo ausiliare della diocesi di Chur (Zurigo), Peter Henrici, sul tema "La teologia, volto pubblico della fede" e la "firma storica" di una convenzione tra Facoltà teologica del Triveneto e università di Padova.

La firma, che prevede scambio di docenti e di studenti, riconoscimento di crediti formativi, progetti comuni e collaborazioni, sancisce un percorso di avvicinamento e di collaborazione progressiva tra l'ateneo patavino, fucina - nei secoli - di pensiero scientifico, e un'istituzione religiosa che, fin dal suo nascere, si è contraddistinta per la ricerca di un dialogo tra fede e ragione, tra fede e scienza, ma anche tra riflessione sistematica e prassi pastorale.

In dialogo con l'università

La convenzione ha registrato il plauso del ministro per l'istruzione Maria Stella Gelmini che, in un messaggio, ha riconosciuto la «volontà di collaborare in progetti di formazione e di ricerca, in piena libertà intellettuale e nel rispetto delle reciproche competenze», rispondendo alla richiesta crescente della ricerca di una unità del sapere.

Pieno apprezzamento è giunto anche dal presidente del Pontificio consiglio per la cultura, cardinale Gianfranco Ravasi, che ha evidenziato come, attraverso questo accordo, «si ricostruisce idealmente quella universitas studiorum che è all'origine dell'idea stessa di università e la teologia viene reintegrata nell'alveo universitario da cui era stata allontanata».

Tantomeno casuale appare il fatto che questo avvenimento sia avvenuto proprio a Padova, diocesi di origine di quel teologo ecumenico che fu mons. Luigi Sartori, divulgatore del concilio ma anche strenuo difensore del dialogo in tutte le sue forme.

«La tradizione biblico-cristiana, opportunamente declinata con un linguaggio adatto all'uomo contemporaneo - ha commentato il preside, don Andrea Toniolo - può diventare un valido interlocutore, offrendo orizzonti di significato proprio su quei contesti» relativi alle domande di senso sul nascere e del morire, sull'esperienza della fragilità, ma anche su quei temi sui quali viene continuamente interpellata la dottrina sociale della chiesa: il lavoro, l'economia, l'identità religiosa, il rapporto tra fede e laicità e tra fede e politica.

La firma della convenzione tra le massime istituzioni padovane del sapere laico e religioso rappresenta un ulteriore segno di come l'ambito della fede non sia estraneo alla cultura e alla vita e quindi all'ambito pubblico. Con quell'attenzione sottolineata dal Gran Cancelliere, cardinale Angelo Scola, per il quale «la rilevanza pubblica della fede non è solo un riconoscimento che i cristiani debbano attendersi dagli altri. È una dimensione che essi stessi sono chiamati a realizzare mostrando le buone ragioni per cui la religione può effettivamente rappresentare, come ha dichiarato Benedetto XVI in occasione del suo recente viaggio nel Regno Unito "un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". È un'esigenza intrinseca al fatto cristiano, che chiede per sua natura di essere comunicato secondo la logica della testimonianza. Essa però è tale solo se è conoscenza adeguata della realtà, che tende, pertanto, a comunicare verità». In questo «il compito della teologia si fa decisivo, perché è anche su questo terreno che potrà essere valutata la sua capacità di incidere effettivamente sulla vita delle nostre comunità cristiane e di intercettare il desiderio dei nostri fratelli uomini, i quali, inesorabilmente, ricercano un senso, cioè un significato e una direzione, per la propria vita».

Fede pensata e fede vissuta non sussistono indipendentemente l'una dall'altra, ricorda il Gran Cancelliere: «È l'unità dell'esperienza cristiana adeguatamente intesa a garantire la fecondità della riflessione teologica. Ed è a partire da questa visione unitaria che la teologia può rivendicare il diritto di esprimersi nella pubblica piazza, interagendo ed entrando in dialogo, a pari titolo, con le altre discipline e gli altri saperi».

Entro questo contesto è intervenuto mons. Peter Henrici, già docente di storia della filosofia occidentale contemporanea alla Gregoriana di Roma, che ha avviato la sua prolusione sulla teologia come volto pubblico della fede, precisando che, al di là della possibilità di un volto privato e di uno pubblico, la teologia cristiana è altro dalla teologia puramente filosofica o "naturale", e non può perciò fermarsi al discorso razionale sul "divino". Infatti, la teologia cristiana si riferisce «in primo luogo all'operare di Dio nella storia, ad "eventi" salvifici che Dio ha operato e continua ad operare tanto con un popolo che con tutta l'umanità, ma anche con le singole persone». La "storicità" della fede cristiana implica comportamenti e "rituali" religiosi (cf. Atti 2,42.46-47) e la teologia nasce proprio dall'esigenza di spiegare e comunicare il significato della religione, usando un linguaggio comprensibile anche ai pagani.

Il volto pubblico della teologia

La teologia cristiana trae origine da una necessità comunicativa ed esplicativa di una fede e delle sue modalità pratiche. Sua necessità è anche il compito di chiarificazione rispetto alle interpretazioni eretiche o tendenziose, a partire dall'arianesimo e dallo gnosticismo fino alle eresie che serpeggiano «ancor oggi non soltanto tra i cattolici, ma anche nelle chiese della Riforma». Pertanto, la teologia cristiana assume un "volto pubblico" che, da ambito teologico, acquisisce un collegamento con la generale situazione di tipo politico. Infatti, le formulazioni teologiche ed ecclesiali, inevitabilmente, e in particolare con la storia dei concili, hanno comportato e comportano risvolti politici: dalla lotta alla simonia e all'investitura laica al fronte comune contro la minaccia turca, all'intreccio fra teologia e politica del concilio Vaticano II nelle sue dichiarazioni sulla libertà religiosa e sulle religioni non cristiane, ma anche in riferimento ai decreti sull'ecumenismo.

Dalla rilettura del percorso storico della teologia, si ricava - spiega Henrici - il suo porsi come strumento di comunicazione «sia ad extra, come negli apologeti e nell'ambito delle università, sia anche ad intra come nei concili e nell'insegnamento accademico della teologia».

La storia della teologia fa emergere - quindi - tre campi in cui la teologia ha esercitato ed esercita ancora una funzione pubblica: il mondo universitario (in particolare nel Nord Europa e nelle Americhe), il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso.

Grazie alla sua presenza nel mondo accademico - e la firma della convenzione padovana ne è ulteriore conferma -, «la teologia continua ad affermarsi, come nel passato, una componente non trascurabile della nostra cultura». Una missione però- precisa il vescovo gesuita - che «le facoltà di teologia non possono espletare senza che la teologia, anche cattolica, esca dalla sua torre d'avorio nella quale talvolta amava rintanarsi, e senza che si esprima in un linguaggio comprensibile al mondo d'oggi, assumendo certe forme di pensiero e di espressione della cultura contemporanea nonché i più importanti risultati della ricerca profana». Un dialogo di rilevante interesse oggi è anche quello con il mondo delle arti: la storia, la letteratura, il teatro, l'arte, la musica, il cinema.

Sul fronte del dialogo ecumenico «la teologia cattolica ha non poco da guadagnare; dalle chiese d'oriente imparerà ad apprezzare meglio i tesori teologici nascosti nelle liturgie, e dai protestanti ha già guadagnato e guadagnerà ancora una più profonda conoscenza e un più vivo amore della parola di Dio». Un dialogo che favorisce, nel ritrovare le radici comuni - Gesù Cristo e il suo vangelo - un progressivo avvicinamento che ha già registrato significativi passaggi, per esempio nella comune Dichiarazione cattolico-luterana sulla giustificazione.

Sul piano del dialogo interreligioso, dove il discorso è più complesso, la teologia potrà trovare un terreno comune sul discorso razionale su Dio e sul rapporto tra Dio e il genere umano.

Una funzione pubblica, la teologia l'ha avuta anche sul piano politico, a volte come effetto collaterale delle discussioni teologiche. Aspetto questo che Peter Henrici vede presente anche oggi e in prospettiva futura: «Nel nostro mondo che va sempre più secolarizzandosi dichiarazioni esplicitamente teologiche troveranno sempre meno ascolto, anche (e forse soprattutto) se sono appoggiate dall'autorità del magistero. D'altra parte, la presenza universitaria della teologia non potrà rimanere senza influsso sulla nostra cultura, e il dialogo interreligioso avrà senza dubbio un suo impatto anche sul cosiddetto "conflitto delle culture". Così, anche oggi, la teologia può agire per accidens anche sulla politica».

Dimensione testimoniale e profetica

C'è poi la dimensione testimoniale e profetica. Se, da un lato, infatti, parlare di "politica cristiana" può disturbare, esistono «senza dubbio politici autenticamente cristiani e soluzioni nel senso del vangelo per certi problemi anche politici. Per questi la teologia può e deve dire talvolta una parola chiara e chiarificatrice», per esempio in merito a proposte di bioetica o di etica economica. «In questi campi, la voce dei teologi, come quella del magistero, sarà spesso non una voce pacatamente accademica, ma una voce profetica, e ciò significa - biblicamente - una voce che non si ama ascoltare, perché va contro le pretese e le attese comuni, indicando vie da imboccare. Ma anche chi richiama un bambino affinché non cada nel fiume esercita un atto salvifico!».

Conclude il gesuita: «La voce profetica non può mai essere quella della teologia come scienza, ma dovrà sempre provenire da un teologo». La teologia, in quanto discorso razionale, può essere rivolta e compresa dai non credenti, ma, in quanto volto pubblico della fede, può essere proposta e sviluppata solo da chi questa fede la vive. E quindi, prima della funzione pubblica della teologia, viene la testimonianza personale dei teologi. Una testimonianza che ha un'importanza fondamentale, specialmente nel tempo odierno, in cui è forte il dominio dei media sempre più caratterizzati dalla personalizzazione di tutti i rapporti e le manifestazioni pubbliche.

 

 

(da Testimoni, 9, 2011)

Letto 2100 volte
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search