Il diritto e il rovescio
Virtuosità che feriscono
di Giordano Muraro
Chi è l'uomo che mi sta di fronte? Cosa sta pensando? Mi devo fidare? Che giudizio posso dare di lui? Il comportamento è gentile, ma è veramente gentile oppure - come si dice in una regione d'Italia - è falso e cortese? Lasciando da parte il caso estremo di chi si camuffa volutamente e si copre il volto con una maschera, esistono molti casi in cui le persone sembrano buone non solo agli altri, ma anche a se stesse, mentre la loro bontà è solo apparente e le loro presunte virtù sono autentici vizi. Per esempio: la persona che tutte le sere è fuori casa perché impegnata in mille opere di bene, è un generoso o uno che trascura la famiglia? Esercita l'amore per il prossimo, o manca di amore per il coniuge e per i figli?
Una persona che non si offre mai quando c'è qualcosa da fare, è un saggio che misura gli impegni sulle sue forze e sulle sue capacità, oppure è un egoista che scappa di fronte a qualunque fatica? Il terrorista, che sacrifica la sua vita spargendo morte, è un martire che rinuncia alla vita per far trionfare la causa o è un pazzo o un fanatico? San Francesco, che si spoglia di tutto, vive nella povertà e dice che è perfetta letizia quando sotto un temporale non gli aprono la porta del convento, è un santo o un "eccessivo"?
Il "giusto mezzo"
La tradizione morale ci ha passato uno strumento di valutazione che continua a resistere nel tempo, ed è il famoso "giusto mezzo", cioè un comportamento che evita ogni eccesso, ma anche ogni difetto. Genera l'uomo equilibrato, che sa scegliere e sa realizzare la giusta misura in tutti i fatti della vita. Non si lascia prendere dall'ira, ma risolve le contese evitando l'accanimento da una parte e il lassismo dall'altra; non si abbandona all'istinto che lo porta a esagerare nel bere o nel mangiare, ma sa smettere quando si accorge che il piacere del mangiare e del bere gli fa perdere il controllo di sé; sa quando è opportuno adirarsi e quando invece conviene sopportare; sa quando deve difendere la propria vita a ogni costo e quando deve sacrificarla per testimoniare la verità e la giustizia.
Si vive bene con una persona equilibrata, mentre si vive male con una persona eccessiva o inerte. Ma la persona equilibrata è difficile da trovare. Per vari motivi. Anzitutto perché alcuni hanno fatto la scelta del camaleonte che assume sempre il comportamento che gli altri si aspettano da lui (l'uomo per tutte le stagioni); ma soprattutto perché non è sempre facile capire quale sia il giusto mezzo nelle complesse circostanze della vita. Le situazioni cambiano sempre, e la persona deve continuamente vigilare per capire come comportarsi in quella situazione, con quelle persone, in quelle circostanze. Il filosofo diceva che non ci bagniamo mai nella stessa acqua; non ci sono mai due azioni uguali. Basta una variante e tutto cambia.
Legge e virtù nella vita morale
Per questo i maestri di vita insistono perché si passi dalla morale dei comandamenti alla morale della virtù. I comandamenti la legge, le norme insegnano che cosa bisogna fare, ma non possono tener conto delle differenze che sono invece sempre numerose quando si tratta di fare delle scelte concrete. Per esempio: il comandamento dice di onorare il padre e la madre; ma non dice in che modo devo onorarli quando sono bambino, quando ho raggiunto l'adolescenza, quando sono diventato adulto, quando mi sposo e ho una mia famiglia, quando i genitori diventano vecchi e non sono più autosufficienti, quando hanno perso la facoltà di intendere e di volere e hanno bisogno di una assistenza continua, ecc. È evidente che il modo di onorare il padre e la madre è diverso nei diversi tempi e nelle diverse circostanze della vita. La legge non può prevedere e contenere tutte queste varianti. Similmente: il precetto di non rubare vale sempre per tutti; ma se una persona si trova allo stremo delle forze e sta morendo di fame ha il diritto di andare al di là del comandamento e di prendere quello che gli è necessario per sopravvivere.
La legge non può prevedere tutti i casi possibili, per cui se ha il pregio di indicarmi l'orientamento di fondo da seguire, è insufficiente a regolare le singole situazioni in cui la persona viene a trovarsi. È come la stella polare che mi dice dov'è il nord, ma non mi dice qual è la strada da percorrere per raggiungerlo, quali difficoltà incontrerò e come potrò superarle.
La virtù è uno strumento più prezioso della legge, perché non solo mi indica la direzione da prendere, ma inclina e muove in quella direzione. Altro è trovare nel cammino una segnalazione stradale che mi dice da che parte andare, altro è trovare un amico che mi insegna la strada e la percorre insieme a me, aiutandomi nelle difficoltà che incontro. La virtù non si accontenta di dire cos'è bene, ma ha il potere di mettere la persona in sintonia con il bene, e di muoverlo a realizzarlo. Tuttavia anche l'inclinazione virtuosa ha dei limiti: pur avendo il pregio di indicarmi il bene e di muovermi al bene, non mi dice ancora la misura da dare al mio slancio virtuoso. Io posso aver acquisito la virtù della misericordia, ma poi posso trovarmi in difficoltà quando devo decidere se la mia misericordia deve spingermi a condonare il debito, o chiederne la restituzione nel modo proporzionato alle possibilità del debitore.
Non solo, ma l'inclinazione virtuosa può farmi perdere il senso della misura e può spingermi a compiere azioni sconsiderate. Io posso rinunciare al mio pasto per darlo ai poveri, ma non posso dare ai poveri il cibo necessario ai miei figli. Io posso dedicarmi alla preghiera per tutta la durata del giorno, ma non posso dare alla preghiera il tempo e l'attenzione che invece devo dare alla mia professione. San Tommaso porta un esempio chiaro per spiegare i rischi delle inclinazioni virtuose. Dice che l'inclinazione virtuosa quando non è guidata dalla ragione può diventare dannosa, perché è come il cocchio senza l'auriga: tanto maggiore sarà;il disastro quanto maggiore è lo slancio dei cavalli senza guida. La guida resta sempre la ragione, la quale accompagna sia l'enunciato della legge, sia l'inclinazione virtuosa.
La ragione nella vita virtuosa
La ragione entra già in modo massiccio nella formazione delle virtù, perché le virtù sono il risultato della ripetizione di atti "ragionevoli". Per esempio, la virtù della temperanza si forma con la ripetizione di tanti atti in cui la ragione indica il "giusto mezzo" da seguire tra l'eccesso e il difetto. La moltiplicazione di questi atti "ragionevoli" crea poco alla volta una specie di sintonia della persona con il bene, e la allena poco alla volta a compiere in modo facile e quasi connaturale gli atti di temperanza. Il casto giudica in modo quasi connaturale ciò che è casto; il giusto percepisce quasi per istinto ciò che è giusto. Chi possiede la virtù della temperanza non trova difficoltà a capire quale comportamento deve assumere nei confronti dei cibi e delle bevande, e trova facile moderare queste sue tendenze, mentre chi non possiede questa virtù troverà sempre difficile contenere e moderare il desiderio del mangiare e del bere.
Ma anche quando la persona è riuscita a costruire in sé questa inclinazione virtuosa che la mette in sintonia con il bene e che la muove a realizzarlo, non è ancora in grado di stabilire sempre con sicurezza l'azione che realizza il "giusto mezzo" nelle diverse situazioni della vita. Se, per esempio, ritengo di aver mangiato e bevuto a sufficienza, e mi propongono un ulteriore brindisi alla persona festeggiata, devo accettare in nome della cordialità, oppure devo rifiutare in nome della temperanza? Se rifiuto sono una persona rigida che mi rende socialmente rozzo, o sono una persona ragionevole che si comporta in modo temperato? Gli esempi riportati sono facili da risolvere, ma qualche volta non è così semplice stabilire l'atteggiamento da prendere in certe situazioni sociali o coniugali o anche solo personali. Per esempio: nella vita coniugale il fatto di accettare l'aggressività del coniuge è un atto di debolezza che favorisce e radica ancora di più questo suo atteggiamento e mi rende connivente di questo suo difetto, o è un atto di pazienza che nasce dalla virtù della fortezza? Rifiutare l'elemosina al ragazzo che al semaforo vuole pulirmi il parabrezza è un comportamento vizioso dettato dall'avarizia, o è un comportamento saggio che non favorisce lo sfruttamento dei minori? Impedire la costruzione di nuove moschee è un atto di prudenza o è un comportamento dettato dalla giustizia sociale che impedisce il pericolo del terrorismo? Organizzare uno sciopero che paralizza la città è l'esercizio di un giusto diritto dei lavoratori o è un'ingiustizia nei confronti della gente che resta a piedi?
Si potrebbe continuare tranquillamente all'infinito l'elenco degli esempi. Anche perché in certe situazioni i comportamenti che a prima vista potrebbero sembrare eccessivi, sono invece il giusto mezzo in quella situazione. Per esempio, turbare l'ordine costituito quando questo ordine è in realtà un disordine sociale e non si hanno altri strumenti per correggerlo, può sembrare un atto eversivo, mentre è solo la giusta reazione che tenta di riportare le cose nel vero ordine. L'obiezione di coscienza è un chiaro esempio. Ma allora la rivoluzione o la guerra in certi casi potrebbero essere il "giusto mezzo" per ridare ai cittadini i diritti di cui sono stati privati? Oppure si devono prendere in considerazione gli effetti disastrosi che queste scelte producono e che impediscono di considerarle un "giusto mezzo"?
Molto spesso non è facile stabilire cos'è concretamente il "giusto mezzo". È necessario un supplemento di riflessione personale e talora anche sociale. E anche con questo supplemento di ragione non si giunge mai a una certezza assoluta di aver fatto la scelta del "giusto mezzo", cioè dell'azione che realizza il bene personale e sociale. Quando si esce dalla vita personale o dalla vita delle relazioni coniugali e familiari e si entra nel mondo delle relazioni sociali o addirittura internazionali, il giudizio sul "giusto mezzo" diventa sempre più difficile. Ma anche restando nelle dimensioni della vita personale o delle relazioni elementari, ci troviamo spesso in difficoltà. Si deve perdonare l'infedeltà coniugale? Il rifiuto del perdono è un atto di giustizia o è una mancanza di carità?
La virtù nel giusto mezzo
C'è una espressione italiana che è passata in proverbio e che dice in modo molto semplice il rapporto che deve esistere tra la legge, la virtù e la ragione: “Il bene bisogna farlo bene". Non basta che la legge mi dica cosa bisogna fare (l'esempio che sopra abbiamo riportato, onorare i genitori) e non basta neppure che l'inclinazione virtuosa mi muova in modo quasi connaturale a esercitare la pietà filiale; ma è indispensabile anche l'opera della ragione, la quale mi dice come in concreto devo esercitare questa pietà filiale nelle circostanze concrete della vita, senza eccedere e senza difettare. Non posso abbandonare la mia famiglia per assistere i genitori anziani; come non posso abbandonarli dicendo che ho la mia famiglia cui pensare. La ragione mi dice qual’è la giusta misura per armonizzare l'amore per i genitori anziani e l'amore per la mia famiglia.
Abbiamo già avuto l'occasione di dire che le virtù non sono sette, tre teologali e quattro cardinali; ma sono molte di più, perché ognuna di queste virtù ha al suo seguito altre virtù minori che ne allungano l'elenco. E ognuna di esse può avere un vizio corrispondente che nasce dall'uso non corretto della virtù stessa. In ogni atteggiamento virtuoso si può peccare per eccesso o per difetto. Noi cercheremo di mettere in evidenza quei comportamenti che hanno l'apparenza della virtù, ma che in realtà sono comportamenti viziosi. Possiamo allora parlare di "vizi delle virtù". È opportuno fare questa indagine, per aiutarci a smascherare certi nostri modi di vivere considerati virtuosi, mentre sono comportamenti che danneggiano la nostra persona e le relazioni con le altre persone. Cercheremo di farlo nei prossimi articoli.
(da Vita Pastorale, marzo 2009)