Già, ma, onde evitare banalizzazioni o distorsioni dell’etica cristiana, la domanda si ripropone: cosa esattamente ci comanda Dio circa il nostro rapporto con le autorità civili e con le leggi? Nel caso dei cristiani, cosa prescrive la Rivelazione (Scrittura e Magistero) al riguardo? Qui ci vengono in soccorso altre due massime: 1) è dovuta obbedienza all’autorità legittima, 2) sia dato a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Provo a tradurre: è la distinzione di ambiti. compiti, responsabilità tra potere civile e autorità religiosa e dunque il riconoscimento del senso-valore dello Stato e delle pubbliche istituzioni.Oserei dire, sperando di non essere frainteso, della valenza etica dello Stato. Che è cosa affatto diversa dallo Stato etico, naturalmente da ripudiare. E’ semmai la consapevolezza che lo Stato, inteso quale forma storica concreta della comunità politica e titolare del potere legittimo, è strumento e presidio di valori, Anche chi ripudia visioni statolatriche e, piuttosto, interpreta lo Stato come «società che si autorganizza», deve disporsi a rispettare il fondamento e le regole sui quali esso si regge. Alludo al «pactum societatis» tra persone-cittadini che decidono di vivere insieme in forma stabile e ordinata, conferendo valore a tale legame comunitario strutturato.
Lo strumento principe di tale patto-legame sono la Costituzione e le leggi. Rispettarle è dunque un preciso e cogente obbligo morale e civile. Può succedere e succede che la coscienza prescriva di sottrarsi agli obblighi che scaturiscono da una legge percepita come gravemente e manifestamente ingiusta. Ma deve appunto trattarsi di casi assolutamente gravi ed eccezionali. Al punto da prescrivere un atto, un gesto - la trasgressione - sommamente impegnativo che rappresenta un vulnus oggettivo alle regole della convivenza. La stessa coscienza, cristianamente e politicamente formata, deve mostrarsi consapevole della portata estrema, in certo modo drammatica, di quell’atto. E cioè della circostanza che – mi si perdoni il bisticcio - la regola è il rispetto delle regole poste a presidio del grande bene-valore della vita buona di una comunità ordinata, intesa quale condizione essenziale per difendere e promuovere una ricca gamma di valori morali e civili.
Mi chiedo: sono, i cristiani comuni, adeguatamente consapevoli della valenza etico-coscienziale del dovere di rispettare le leggi dello Stato? E, a valle, della valenza etica delle appartenenze sociali e politiche serventi il bene comune? L’impressione è piuttosto quella di una separatezza, quasi che il regno dell’assenso incondizionato della coscienza sia riservato solo al campo delle scelte soggettive e non a quello delle oggettive regole della convivenza. Penso alla proliferazione degli appelli alla coscienza personale, all’estensione esorbitante e settoriale delle cosiddette questioni eticamente sensibili. Quasi che le ragioni dello stare insieme e le regole che le custodiscono non siano eticamente rilevanti.
Si riscontra qui un vistoso deficit di cultura e di coscienza politica tra i cristiani e un difetto di laicità. Non banalmente intesa come distinzione di ambiti, ma come apprezzamento per i valori incorporati nello Stato e nelle sue leggi o anche, più modestamente, dentro l’appartenenza a un partito o a un gruppo parlamentare. Strumenti essenziali per forgiare la società, l’appartenenza ai quali presuppone un patto dì lealtà, un reciproco affidamento, una disponibilità a sacrificare qualcosa di sé per venirsi incontro. Non ironicamente, ma politicamente e persino eticamente. L’opposto dell’atteggiamento leggero di chi interpreta tali impegnative appartenenze come occasionali, strumentali, non eticamente coinvolgenti. Un atteggiamento presuntuoso e, tecnicamente, irresponsabile. ove l’appello alla propria coscienza coincide con la sanzione di una presuntuosa separazione dalla comunità e, di riflesso, fa scattare un giudizio di inaffidabilità verso chi si sente moralmente altro, diverso, superiore. Un atteggiamento, a ben vedere, poco cristiano.
Nella purtroppo dimenticata nota Cei del 1991 dal titolo “Educare alla legalità”, dopo avere motivato sul piano teologico e politico il senso-valore dell’obiezione di coscienza, si ha cura di fare due precisazioni: altra è l’obiezione nei regimi totalitari, altra, decisamente più eccezionale, nei regimi democratici; essa è perciò una cosa serissima, la cui forma cristiana più alta è il martirio. Non può essere un «capriccio» (così sta scritto) o una semplice divergenza di opinione, ma «si motiva solo quando è in gioco una ragione etica imprescindibile per il soggetto». E’ chiara la ragione: anche lo Stato merita un investimento etico, un’adesione della coscienza e dunque dedizione e sacrificio. E’ utile che chi, con leggerezza e di frequente. invoca la coscienza per non obbedire alle leggi, volga il pensiero a quei servitori dello Stato, militari e civili, che, per esso, in nome (e al posto) nostro, hanno dato la vita.
* Politologo
(da Jesus, febbraio 2008)