Gesù nella ricerca teologica odierna
di Bruno Secondin
La nostra è una stagione di studi cristologici numerosi e anche qualche volta notevoli. Nella riformulazione attuale della fede, il mistero di Cristo ha un posto centrale, come è logico che avvenga. Egualmente le prospettive teologiche in questo settore sono molto varie, come anche le finalità che ciascuno dei teologi si pone nell’affrontare il problema Cristo.
Del resto un pluralismo notevole lo si riscontra già all’interno del Nuovo Testamento, anche se il nucleo centrale di ciò che si annuncia e si vive è sempre lo stesso e unico, immutabile: cioè Gesù Cristo uomo perfetto - Figlio incarnato di Dio - salvatore e capo di tutto il creato - nel quale gli uomini sono solidali con tutta la storia e con tutto il mondo.
E’ questa l’«insondabile ricchezza» di Cristo (Ef 3,9) mai esauribile. Ma tutto questo è presentato con accentuazioni diverse, già nei libri biblici, per esempio:
- a partire dall’esperienza storica che si è fatta, da quello che si è visto e conosciuto, toccato, dall’aver incontrato il Risorto, Signore, datore dello Spirito;
- oppure dall’alto: cioè a partire dai testi sapienziali (manifestazione della Parola, sapienza, Spirito, giustizia), o liturgici (sacerdozio, sacrificio, rito, sangue), o profetici (messia, servo, figlio dell’uomo, redentore, re davidico...).
Persona e causa si fondono in vario modo a seconda delle esigenze della comunità e degli intenti dello scrittore: così abbiamo la così detta «cristologia dal basso» (o dalla fine) e la «cristologia dall’alto» (o dall’inizio), la cristologia epifanica, la cristologia funzionale, ecc.
Nelle varie cristologie attuali l’intento spesso cercato è quello di proporre una visione cristologica che risponda alla sensibilità odierna, alle nostre prospettive socio-culturali, al contesto specifico di provenienza del teologo o dei lettori. Possiamo considerare tipico esempio programmatico quello di B. Forte, Gesù di Nazaret, Storia di Dio, Dio della storia, (1)che si propone di collocare la sua riflessione nell’ottica della società e della chiesa del meridione d’Italia. Ma non tutti sono convinti che ci sia riuscito, al di là delle proclamazioni di principio.
E’ fuor di dubbio comunque che il contesto storico-socio-religioso ha influito e influisce profondamente nelle varie elaborazioni e anche nelle correnti di spiritualità. (2)
Note
1) Paoline, Alba 1981.
2) Per un primo riscontro bibliografico generale: B. MONDIN, Le cristologie moderne, Paoline, Roma 1979; A. SCHOLSON-W. KASPER, Cristologie, oggi, Paideia, Brescia 1979; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Bibbia e Cristologia, Paoline, Alba 1987. Per la spiritualità: C. RICHSTÂTTER, Christusfrömmigkeit in ihrer historischen Entfaltung, Kökln 1969; B. SECONDIN, Messaggio evangelico e culture, Paoline, Roma 1982.
ORTODOSSA
Non dobbiamo aspettarci novità rilevanti in questo settore. Sia nell’ambito dell’ortodossia geografica che in quello della diaspora (es. Meyendorf, Evdokimov, Florovskij, Losskij), in genere la prospettiva è quella della cristologia dall’alto: «Il Verbo si è fatto carne». Questo tema viene illustrato con particolare attenzione per la fedeltà verso la tradizione patristica e antico-conciliare (dei secoli d’oro della teologia orientale).
Importante è anche l’influsso del misticismo monastico e liturgico. Al centro è la divinità: nell’adorazione, contemplazione, partecipazione, redenzione come «indiamento» (sulla base di 2Pt 1,4: «participes naturae divinae») sta tutta la vita del credente. (3)
Interessante è anche la sua riflessione su Cristo «gloria del Padre» di P. Evdokimov, (4) per cui il volto definitivo di Cristo è quello glorioso della trasfigurazione e della risurrezione. Intende volto definitivo in senso ontologico di densità divina del Cristo. Anche J. Meyendorf, con la Cristologia ortodossa è un autore da ricordare: rifacendosi a Gregorio Palamas ripresenta la modalità della redenzione dell’uomo nel Cristo come partecipazione alla divinità. Tale partecipazione è essenzialmente nucleo centrale della natura umana e non solo dono divino.
Interessante è la linea della «sofia cristologica»: che ha radici fin dai primi secoli cristiani, ma che è stata ripresa e rivalutata in questo secolo da vari autori. «Le sofiologie dei teologi russi moderni si iscrivono nella linea della theòria physikè e della visione pasquale del mondo; loro scopo è di rendere spirituale la fisica dei nostri giorni, le scienze naturali e le teorie cosmiche che ne derivano».
Noi accenniamo a tre rappresentanti moderni.
V. Soloviev (+ 1900): ispirandosi al misticismo con tinte di origenismo e gnosticismo, e prendendo le categorie dell’idealismo tedesco (Schelling, Fichte), sviluppa una teologia «teandrica., concentrando la sua attenzione al momento dell’incarnazione di Cristo; l’incarnazione viene pertanto concepita come un evento che si realizza nel cuore dell’uomo.
Tale evento abbraccia tutto ciò che è umano, collocando la storia umana nella prospettiva dell’universale cristificazione.
«Così il Cristo-Dio-Uomo, si compie nel Cristo-Dio-Umanità. Quindi la sofiologia di Soloviev si giustifica in quanto collegata col teandrismo, ossia Dio che si fa uomo, il Logos che assume la natura dell’uomo e rende possibile la «sofiologia» divina che si fa presente nell’umanità»
Si può sottolineare, con Vladimir Losskij, che nella tradizione ortodossa la vita cristiana si definisce come «vita in Cristo» più che come «imitazione di Cristo». Cristo non è solo un ideale morale da riprodurre, ma la vita stessa dell’universo e il nodo di tutta l’esistenza.
P. Florenskij (+ 1943) scienziato, astronomo e teologo: sviluppa le idee di Soloviev, affermando che la “sofia” è la grande radice della creatura totale, e l’uomo che vuole mantenersi in uno stato vitale deve lasciarsi lavorare da essa che è «l’angelo custode del creato». Afferma con convinzione che l’ideale dell’ascesi cristiana non sta nel disprezzo del mondo, ma nella gioiosa sua accettazione e nello sforzo per rendere il mondo più ricco innalzandolo a un livello superiore fino alla piena trasfigurazione.
S. Bulgakov (+ 1944). La sua teologia gravita particolarmente attorno alla cristologia: «La Parola si è fatta carne». La sua riflessione sulla sofia divina e creata è di grande qualità teologico-spirituale.
Tra la sofia divina e la realtà creata esiste un nesso non solo di creaturalità: quella divina ha fatto dal nulla il mondo. Ma anche un’attrazione: nel senso che v’è nel mondo creato un divenire,un emergere, uno svilupparsi, un giungere alla sua conclusione, come un cammino verso la pienezza.
Il Verbo, come natura divina che si autorivela, assume la sofia creata, dalla carne incorrotta della vergine Maria e fa uscire la nostra sofia deteriorata verso lo stadio primigenio, la riporta verso la deificazione, cui la creazione tendeva per intrinseca esigenza già all’inizio, a prescindere dal peccato. Bulgakov vede l’inizio della storia della salvezza dell’uomo nel momento dell’annunciazione, quando lo Spirito santo non soltanto discende per la concezione e per il parto divino, ma resta in Maria con tutte le sue Virtù; resta con lei per tutti i secoli con tutta la forza dell’annunciazione ed eternamente.
Notiamo che nella chiesa orientale non c’è una theologia crucis ampiamente sviluppata (avvicinabile a quella luterana per es.). La croce infatti, è veduta essenzialmente collegata con la creazione, l’incarnazione e la risurrezione. Essa è parte di un processo globale in cui si pongono in grande evidenza gli aspetti soprattutto positivi.
Scrive Evdokimov:
«Se si penetra fino al cuore della spiritualità ortodossa, vi si trova anzitutto la sensazione viva dell’irruzione trionfante della vita eterna, della vittoria sulla morte, sull’inferno: è il soffio del messaggio evangelico portato dalla gioia pasquale (La novità dello Spirito».
Così il segno della gloria inonda la croce, la quale è presentata “gemmata”, indicando con ciò il trionfo e la trasfigurazione dell’evento del Calvario.
Pur con questo aspetto “ottimista”, notevole è il legame posto nella teologia orientale contemporanea tra Calvario e la Trinità: molto più che la tragedia dell’uomo, il Calvario appare come l’espressione della tragedia divina, il calarsi tra di noi del dramma intimo della Trinità, della passione dolorosa di Dio, per cui la croce è da un lato il prolungamento nel tempo dell’intimo mistero eterno del dolore di Dio; e dall’altro è l’eternizzarsi della sofferenza umana del Cristo.
Note
3) Per un primo veloce approccio: T. SPIDLIK, Gesù nella pietà dei cristiani orientali, in Gesù Cristo mistero e presenza, Teresianum, Roma 1971, pp. 385-406; L. GNILKA, Cristologie del mondo ortodosso, in Il Salvatore e la Vergine-Maria, Marianum-EDB, Roma-Bologna 1981, pp. 137-187; B. SCHULTZE, Pensatori russi di fronte a Cristo, 3 voll. Firenze, 1947-1949; D.I. CIOBOTEA, Jésus Christ, vie du monde. Une approche théologico-spirituelle orthodoxe, in « Contacts » 35 (1983), pp. 99-126.4) Cristo nel pensiero russo, Città Nuova, Roma 1972.
PROTESTANTE
Tutta la teologia cristologica della chiesa protestante si radica nella centralità della croce di Cristo. Già Lutero aveva insegnato: «In Christo crucifixo est vera theologia et cognitio Dei». In quest’affermazione e nella teologia che ne deriva sta una verità certissima: la croce è il criterio della sequela autentica. Ma anche la risurrezione fa parte intrinseca dell’esperienza del dolore: la morte è vissuta fino in fondo, ma anche è vinta, nello stesso movimento.
Noi ci limitiamo a ricordare alcune delle posizioni cristologiche più rilevanti.
R. Bultmann (+ 1976). Per questo teologo centrale del nostro secolo, bisogna superare tutte le affermazioni dottrinali ereditate, per scoprire i meccanismi di mitizzazione della comunità primitiva, e arrivare alla convinzione che «storicamente» Gesù ci è praticamennte ignoto. Col metodo storico-morfologico (form-geschichtlich) Bultmann analizza i Vangeli, separa le pericopi che li compongono secondo i diversi generi letterari, le raggruppa poi nuovamente e ottiene, in tal modo, diverse raffigurazioni di Gesù, dettate dalle molteplici esigenze della comunità primitiva (esigenza catechetica, polemica, apologetica, esorcistica, missionaria, ecc.). Ma le strutture espressive sotto le quali la comunità primitiva ha sepolto il nucleo primitivo della fede sono tante: per ritrovarlo bisogna «demitizzare e demetafisicare». Fa parte del mito tutta la struttura supernaturalistica del Nuovo Testamento.
Quello che vale, e che la comunità ci ha voluto trasmettere, è l’incontro personale del credente con Cristo: solo chi assume una disposizione esistenziale può scoprire il vero nucleo della cristologia. Attraverso il kerigma si è interpellati, si è spinti verso il futuro, a decidersi, a capire/capirsi in Cristo e quindi ad abbandonarsi a lui con obbedienza sfiduciale.
La continuità tra Gesù e i credenti si spiega così:
- Da una parte Gesù non ha insegnato una dottrina sulla sua persona, ma ha messo l’accento sul fatto che la sua persona era un qualcosa di deisivo, portatrice della parola decisiva di Dio;
- Da parte della comunità: essa ha un legame storico con Gesù, ma il suo annuncio non è una speculazione sulla «persona» di Gesù, ma piuttosto «appello per una decisione esistenziale a favore di questa parola decisiva di Dio in Gesù».
H. Braun: radicalizza la demitizzazione, riducendo la cristologia ad antropologia. Per lui il centro del messaggio cristologico è una comprensione di se stesso che l’uomo continuamente fa: parlare di Cristo e annunciare Cristo (nella varia angolatura e novità) serve al convincimento per l’uomo che nei suoi rapporti di fraternità, nel suo non esaltarsi, non usare prepotenza, nel diffondere invece fraternità, Gesù continua ad operare come salvatore.
G. Ebeling: segue vari indirizzi, ma prevale quello esistenzialista. Egli si domanda: su che cosa si fonda la fede in Gesù Cristo dei primi? Altra preoccupazione sua è quella di ricondurre la cristologia esplicita a quella implicita , al Gesù storico, per scoprire cosa in Gesù fu espresso come Parola normativa. In questo punto è chiaramente contro il suo maestro Bultmann.
La salvezza si basa su un incontro fra persone sulla base della Parola, che spinge alla scommessa della fede.
K. Barth (+ 1977) A lui per certi aspetti si potrebbe accostare anche quanto dice Balthasar sul mysterium paschale: pur partendo da prospettive diverse, arriva a risultati simili con i suoi studi famosi, fra cui emerge Die kirchliche Dogmatik, iniziata nel 1932, incompiuta. A noi interessa specialmente I/I e 2.
Egli sostiene che non è possibile fare un discorso teologico se non a partire dall’evento Cristo. Sviluppare la cristologia implica un coinvolgimento dell’intero discorso trinitario: perché la professione cristologica pervade, forgia nel loro contenuto e valore tutte le affermazioni su Dio.
La teologia della manifestazione di Dio che si autoabbandona, postula necessariamente un’attenzione al rapporto Padre-Figlio, che è animato da amore e fedeltà fino alla totale obbedienza di kenosis.
H. Richard Niebuhr (+ 1962). Da non confondere col fratello Reinhold. Ricordiamo di lui specialmente Christ and Culture.
Egli colloca la sua riflessione teologica nel contesto esistenziale della storia. Dire che il Verbo si è fatto carne, cioè condizione umana fino in fondo, ciò vuol dire affermare che egli si è fatto storia. E la sua efficacia sarà reale se di fatto trasformerà la nostra storia: conoscenza storica di Gesù e storia cristocentrica della comunità dei fedeli sono fondamentali.
È Cristo che fonda sia l’unità di fede cristocentrica sia il pluralismo delle cristologie e delle immagini storiche che lo ricordano. Ma Niebuhr esclude un’interpretazione puramente storicistica del mistero di Cristo: per comprenderlo davvero non ci si può fermare alla storia «esterna», occorre il salto della «fede», che è salto nel cuore della storia di Gesù e nostra.
D. Bonhoeffer (+ 1945). Per questo teologo/pastore (5) la figura di Gesù che bisogna prediligere non è il wie(come), o il dass (il fatto), ma il wer (la persona): cioè la figura dell’uomo della carità spinta fino alla dedizione totale nell’esistere-per-gli-altri.
Si legge in una lettera dalla prigionia:
«L’esistere per gli altri di Gesù è la presa di coscienza della trascendenza. Dalla libertà da se stesso, dall’”esistenza per gli altri”, fino alla morte scaturiscono l’onnipotenza, l’onnipresenza, l’onniscienza. Fede è partecipazione a questo essere di Gesù (incarnazione es croce, risurrezione). Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto religioso, con l’Essere più alto, più potente, più buono. Questa non è vera, autentica trascendenza; il nostro rapporto con Dio è una nuova vita nell’”esistere per gli altri, nella partecipazione all’essere di Cristo”».
A queste posizioni Bonhoeffer era giunto attraverso un’attenta considerazione dell’impatto di Cristo sulla vita attuale: solo un impatto «provocatorio» e impegnato può avere un senso in una storia che sembra la negazione del senso profondo della venuta del Redentore. Solo seguendolo nel dono totale agli altri può avere un senso credere in lui e parlare di lui. Altrimenti si riduce Dio al ruolo di Lükkenbüsser (tappabuchi) per bisogno di superare la insecuritas. In questa «theologia crucis» che indica l’impotenza di Dio in funzione della potenza dell’uomo - «nel Crocifisso Dio si depotenzia, per lasciare all’uomo la sua potenza» - Dio sembra dissolversi in una forza di liberazione storica, senza spazio né per la risurrezione, né per una qualsiasi «ecclesiologia» specifica.
W. Pannenberg (1925-). Possiamo chiamarlo il propositore della cristologia della risurrezione. Opera notevole: Cristologia. Rifiuta, con altri chiamati della «sinistra bultmanniana», lo scetticismo storico, rivendicando assoluta priorità all’elemento storico su quello esistenziale. Con più forza di Cullmann, afferma il carattere obiettivo della storia della salvezza.
Egli preferisce non muovere «dalle parole e dalle opere» (cioè l’attività) di Gesù, ma dalla sua risurrezione. Questo il suo ragionamento: il quadro della storia di una persona lo si comprende solo alla fine, quando tutti i frammenti si possono collegare in unità e si possono ricongiungere in un significato globale unitario.
O. Cullmann (1902-1999). Questo grande esegeta rifiuta e contesta la posizione di Bultmann, e sostiene clic la storia fa parte del nucleo essenziale della rivelazione cristiana: perché gli eventi storici sono il fondamento della salvezza evangelica. (6) L’evento centrale della rivelazione - egli preferisce chiamarla storia della salvezza (Heilsgeschichte): questo termine ha fatto fortuna dopo di lui - è Gesù Cristo. Egli dà senso a tutto quello che procede, ma non esaurisce tutto il percorso della storia: anzi dà piuttosto un nuovo «senso completo» ad essa, in quanto egli costituisce la vittoria definitiva.
Secondo Cullmann, per una, completa ed essenziale conoscenza della cristologia bisogna passare per certe tappe:
«La vita e la morte di Gesù; le sue allusioni alla propria consapevolezza; l’esperienza pasquale dei discepoli; l’esperienza del Signore presente; la riflessione compiuta, sotto la guida dello Spirito, circa i rapporti soteriologici delle funzioni di Cristo separate cronologicamente; le quali, dal punto di vista della rivelazione vengono fatte risalire fino alla creazione».
La sua è una cristologia essenzialmente storica, che rifiuta qualsiasi apriori filosofico e qualsiasi cristologia metafisica. Sembra però che lo studio delle azioni di Cristo, vada a scapito talora della considerazione sulla struttura ontologica di Cristo, cioè della sua persona, come Verbo incarnato.
Circa il prolungamento della storia della salvezza nel tempo della chiesa:
«L’attesa resta dunque come nel giudaismo. Si continua ad attendere dall’avvenire quanto ne attendevano gli ebrei. Ma il centro della storia non è più lo stesso. Il centro è raggiunto, ma la fine deve ancora venire.
J. Moltmann (1926-). Egli assumendo l’escatologia a principio ermeneutico della cristologia, (7) la sottopone ad una «rivoluzione copernicana»: essa non è più sviluppata alla luce del passato, ma del futuro; non in base a quanto è già accaduto, ma di quanto deve accadere. Croce e risurrezione sono i due pilastri successivamente messi in luce in chiave escatologica e di proclamazione pubblico-politica. La risurrezione - contrariamente al pensiero di Barth che pensava il futuro come svelamento di ciò che già c’era - non è solo svelamento, ma compimento finale. E quindi rimane un futuro in arrivo, una riserva definitiva che spinge alla trasformazione.
L’immagine autentica di Dio è quella di «potenza del futuro» inteso come dono e novità: questa immagine apre un dialogo tra fede cristiana e «speranze terrestri» (secolari). E un evento dato in promessa, ma rinvia alla vita e all’opera terrena di Gesù, specie alla croce.
Gesù non è tanto colui che è posto nella gloria, ma piuttosto l’annunciatore del futuro che è promesso e che verrà. Egli funge da conferma della pienezza ultima. Allora la croce si presenta come riassunto dell’intera vicenda di Gesù. Del resto così la prevedeva tutto l’AT; così si vede emergere dal contrasto con il potere del tempo e con gli schemi religioso-politici.
Ecco un suo testo significativo:
«Facendosi uomo in Gesù di Nazaret, Dio si immerge non soltanto nella finitezza dell’uomo, ma anche, con la morte in croce, nella situazione di abbandono da Dio che l’uomo esperimenta... Nessuno dovrà fingere, apparire diverso da quello che è, per cogliere la comunione che lo stringe al Dio umano. Potrà abbandonare tutte le finzioni e sembianze, e in questo umano diventare quegli che in verità è. Inoltre il Dio crocifisso gli si rende vicino nello stato di abbandono sofferto da ciascun uomo. Non esiste isolamento o reiezione che egli non abbia assunto sulla croce di Gesù. Non c’è bisogno di alcun tentativo di giustificazione, nemmeno di autoaccuse demolitrici per avvicinarsi a lui.
L’abbandonato da Dio e reietto può accettarsi là dove conosce il Dio crocifisso, che in lui già vive e che lo accetta. Se Dio si è assunta la morte in croce, ha pure assunto l’intera vita e l’esistenza concreta con l’intera e concreta sua morte. Senza limiti e condizioni l’uomo è accolto nella vita e nella sofferenza, nella morte e risurrezione di Dio, e prende vitalmente parte, nella fede, della pienezza di Dio. Non esiste nulla che lo possa escludere dalla situazione di Dio: dal dolore del Padre, dall’amore del Figlio e dall’impulso dello Spirito»
Certo che la verità di tutto questo sta nella luce della risurrezione e Moltmann lo nota chiaramente:
«La risurrezione non svuota la croce (1Cor 11,17), ma la riempie di escatologia e di significato salvifico».
Note
5) Si ricordi la sua opera Resistenza e resa (lettere dal carcere), Queriniana, Brescia 1971; Sequela, Queriniana, Brescia 1971; Wer ist und wer war Jesus Christus, Hamburg 1962.
6) Ricordiarno di CULLMANN, Cristo e il tempo, EDB, Bologna 1965; Cristologia del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 1970; Il mistero della redenzione nella storia, EDB, Bologna 1966.
7) Si vedano le sue opere Teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1970 e Il Dio crocifisso, Queriniana, Brescia 1973.
CATTOLICA
Anche in questo settore si deve dire che oggi si lavora molto per una riscoperta, una rilettura, una rivalorizzazione dell’umanità di Cristo, in parte oscurata in passato dall’enfasi sulla «divinità» di Cristo. Per qualcano ci troviamo perfino in uno sbilancio «cristocentrico», a scapito di un corretto equilibrio fra teocentrismo e cristocentrismo.
Il cattolicesimo rifiutando il divorzio tra fede e ragione, insisteva nei secoli recenti sul modo dell’unione della divinità e dell’umanità del Verbo incarnato. Lo shok della modernità ha avuto spazio vero nel cattolicesimo all’inizio del secolo con la crisi modernista. A partire dagli anni ‘60 la teologia cattolica e protestante dialogano strettamente. Un momento comunque di grande rilancio del ripensamento cristologico è stato il XV centenario del concilio di Calcedonia (451).
Le fratture mortali che avevano imbrigliato la cristologia fino ai tempi moderni erano:
- Frattura tra studio biblico e studio cristologico, che portava questo all’enfasi sulla riflessione metafisica e anche all’uso puramente strumentale dei testi biblici;
- Frattura tra rivelazione di Dio offerta in Gesù Cristo e la ricerca umana che si costituisce in autonomia assoluta;
- Frattura tra il Gesù della storia, Dio con noi e fonte della salvezza, e il Cristo della fede, che ha invece significato e valenze universali e attuali.
Molto articolato è il quadro epistemologico dell’odierna cristologia e soteriologia.
Si possono individuare otto categorie evidenti dell’odierna cristologia:
1. Dimensione biblica: precisione esagerata nel cercare le basi storiche e teologiche nei testi biblici;
2. Dimensione storico-salvifica pone in risalto gli eventi della vita di Gesù, in particolare quelli pasquali;
3. Dimensione pasquale: tutto gira attorno a questo punto cardine e tutto da qui si spiega;
4. Dimensione pneumatico-ecclesiale la continuità dell’evento Cristo nella chiesa attraverso l’opera dello Spirito santo e le vicende del tempo;
5. Dimensione esistenziale-personalistica: che chiama in causa la vitale comunione interpersonale col Cristo, fonte della salvezza totale dell’uomo;
6. Dimensione soteriologico-prassica che accentua quei contesti in cui la non salvezza emerge, e quindi l’impatto che la salvezza ha su di essi;
7. Dimensione ecumenica: ci sono dei sintomi fra cattolici e protestanti; rimane quasi nullo l’incontro con l’ortodossia;
8. Dimensione pluralistica: in quanto esprime una varietà di approcci e di ottiche (culturali, geografiche, linguistiche).
Se si vuole una enumerazione dello spettro delle cristologie Cattoliche contemporanee, si può ricordare: la cristologia cosmica di Teilhard de Chardin e quella trascendentale di K. Rahner; quella della dualità di P. Schoonenberg e quella estetica di H.U.v. Balthasar; quella politica di J.B. Metz e quella della liberazione di G. Gutierrez, L. Boff, J. Sobrino; quella cristiano-marxista di F. Belo, quella storica di W. Kasper e quella storico-biblica di L. Bouyer; quella metafisica-dinamica di J. Galot e quella metadogmatica di H. Küng e di E. SchilIebeeckx .
Teilhard de Chardin (1881-1955). Vuole armonizzare scienza e cristianesimo e ritrovare Cristo come centro organico di un universo in evoluzione. (8)
Secondo questo scienziato, filosofo e mistico, l’incarnazione deve essere legata alla stessa linea evolutiva della materia e della storia dell’uomo. Possiamo parlare di una cristologia nell’orizzonte della cosmologia. Secondo lui il cammino della scienza non può più essere quello dell’analisi, ma quello della sintesi, perché l’analisi porta alla frantumazione del pensiero. Si rende allora possibile e necessaria la convergenza su Cristo, perché lui appare come centro organico di tutto l’universo.
«Cristo rispetto al mondo non è un accessorio aggiunto, un ornamento, un re di quelli che facciamo noi, un padrone... Egli è l’alfa e I’omega, il principio e la fine, la prima pietra e la chiave di volta, la pienezza e colui che riempie. Egli è colui che completa e che a tutto dà consistenza. Verso di lui e attraverso di lui, vita e luce interiore del mondo, nel pianto e nella fatica, la convergenza universale di tutto il creato. Egli è il centro unico, prezioso e consistente, che brilla sull’apice futuro del mondo, sul polo opposto della zona oscura in eterna diminuzione in cui si avventura la nostra scienza quando scende per la strada della materia e del passato». (9)
Da questo punto di vista solamente la cristologia apre alla scienza il cammino per elaborare la cosmologia, per ricercare e trovare il senso intrinseco di tutta la realtà. E l’incarnazione ha un significato tutto particolare: «in quo omnia constant» (Col 1,17).
Anche se rimane sempre il sospetto di uno spiritualismo mistico e visionario, il suo influsso è stato sentito parecchio nella teologia dell’epoca conciliare
K. Rahner (+ 1984): possiamo parlare per lui di cristologia nell’orizzonte di una nuova comprensione dell’antropologia. La sua proposta è nota anche col nome di «cristologia trascendentale».
Per Rahner l’uomo mira all’appello salvifico dal suo interno: e porta l’esempio dell’amore mai soddisfatto, del morire, dello sperare. In Gesù queste aspirazioni si fanno pienezza: Dio si fa dono all’uomo aperto alla pienezza; e l’uomo si fa in Cristo un sì vero e obbedienziale al Padre, che è pienezza definitiva.
Si potrebbe essere del parere che Rahner cade nell’ontologismo e nell’idealismo. Ma egli è cosciente di queste possibili accuse e spiega che i suoi concetti di Salvatore-assoluto, Dio-uomo, Logos incarnato, sono possibili solo perché di fatto il cristianesimo riconosce già in Cristo la presenza di tale realtà.
«Nel delineare in maniera apriorica tale cristologia trascendentale eravamo coscienti che tale lavoro è storicamente possibile solo perché già esiste il cristianesimo, la fede effettiva in Gesù io quanto Cristo, solo perché l’umanità ha già fatto esperienza storica della realtà di questa idea trascendentale». (11)
Questo porta ad affermare che l’evento di Gesù di Nazaret dà luogo alla riflessione teologica trascendentale, e non il contrario: che sarebbe idealismo e astoricismo. L’esistenza concreta dell’uomo si deve definire come disponibilità all’ascolto e all’obbedienza verso Dio, ossia egli è «potentia oboedientialis» alla parola di Dio. Perciò se l’uomo si consegna a Dio liberamente, questo non diminuisce la sua libertà né il suo essere uomo, poiché Dio non è né estraneo, né concorrente all’uomo e alla sua libertà, ma è la garanzia alla sua libertà e sua meta.
L’antropologia figura quindi come «cristologia incompiuta», imperfetta, da realizzarsi in pienezza; mentre la cristologia appare come descrizione di un essere umano eccezionalmente completo e riuscito. La storia e la teologia della storia aiutano a concepire l’esistere come processo verso l’immediatezza di Dio, sostenuta dalla sua autocomunicazione liberamente donata. Dio può giustamente essere chiamato «il futuro dell’uomo».
J. B. Metz (1928- ). È il più noto rappresentante della teologia politica. Interessante è la parabola del teologo di Münster. Egli passa attraverso una triplice prospettiva, messa in luce successivamente. E’ importante notare che quando dice «teologia politica», per politica non si deve intendere un nostalgico ritorno all’integrismo, ma una teologia orientata all’azione, capace di sostenere un ruolo attivo nella «polis».
b. L’annuncio della salvezza come «memoria passionis, mortis et resurrectionis Jesu Christi». La fede è memoria, memoria della scelta per i poveri, che Gesù fece. Si tratta di attualizzare nel contesto storico, socio-politico in cui i cristiani vivono, tale forma di vita. La forma storica di Gesù di Nazaret vittima e vincitore, fa diventare il cristianesimo memoria pericolosa, liberatrice e redentrice di Gesù Cristo di fronte alla società. La chiesa dovrebbe essere un luogo di parola pericolosa e sovversiva, basata sulla «maniera storica della scelta di Dio per i poveri».
c. La salvezza come sequela della prassi messianica di Gesù. E questa l’ultima fase della parabola migliore di Metz. In essa convergono narratività e sequela, mistica e prassi «politica» nella struttura dell’esistenza cristiana, definita come sequela.
Non va dimenticata un’obiezione molto seria: le comunità cristiane primitive erano poco interessate alle condizioni sociali. Ciò che contava era la salvezza degli individui. L’atteggiamento di fronte al mondo consisteva in un «indifferentismo eroico» (Troeltsch). Paolo si potrebbe addirittura chiamare un tipico conservatore. Come inserisce la teologia politica questo fatto nella sua teoria?
La teologia politica sottolinea soprattutto la funzione della «sfida» (challenge). Oltre a questa esiste il compito del «conforto» che certamente ha una base evangelica. Il conforto è necessariamente congiunto con la ricerca del senso in situazioni inevitabili, e quindi ha un effetto anche «legittimante». Quale equilibrio intende stabilire la teologia politica tra comfort e challenge? Cioè tra legittimazione e profezia critica?
Altra osservazione è che alla «teologia politica» non è seguita una nuova militanza, ma nei fatti una rinascita del religioso e un bisogno nuovo di «sacro».
Un giudizio comunque globale su Metz e la sua «teologia politica» mostra che appare ridotta la valorizzazione dei gesti e detti del Gesù della storia - egli però valorizza molto I amore nella morte/risurrezione - e non è spiegata questa «sequela» in una società pluralistica e planetaria
Con queste ultime indicazioni di Metz e della sua proposta di «teologia politica», che ha trovato ampia eco e attenzione nella coscienza cristiana degli anni ‘70, si è venuta manifestando l’esigenza che la fecondità della rivelazione storica compiuta in Cristo sia di continuo rilanciata tra gli uomini dalla chiesa, con la sua testimonianza di vita, con la sua denuncia profetica con la sua riserva «critica» di fronte ai messianismi intramondani, con tutti i segni di amore e di carità, di servizio e di solidarietà di lotta per la giustizia e la liberazione. Questi «segni» saranno la messa in opera della vittoria della risurrezione su ogni violenza e ogni disperazione. La «memoria» che il cristiano conserva con tutta fedeltà è una memoria aperta al futuro, rivolta al futuro. Contro i trionfalismi facili essa ricorda la «morte» del Figlio di Dio in croce, in uno scontro insanabile fra differenti visioni e progetti di vita. Contro l’angoscia e la paura essa ricorda il rovesciamento misterioso della risurrezione, la libertà totale anticipata nella risurrezione del Cristo.
Note
8) Per una conoscenza più ampia, R. GIBELLINI, Teilhard de Chardin, l’opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia 1981; La spiritualità di Teilhard de Chardin, Cittadella, Assisi 1972; A. AMATO, La cristologia cosmica di Teilhard de Chardin, in Problemi attuali di cristologia, LAS, Roma 1975, pp. 95-123; I. BERGERON A.M. ERNST, Le Christ universel et l’évolution selon Teilhard de Chardin, Cerf, Paris 1986.9) TEILHARD DE CHARDIN, Science et Christ, Oeuvres, IX, pp. 60s.
10) La bibliografia su Rahner non è poca. Un’ottima autopresentazione della cristologia di Rahner si ha alla voce Gesù Cristo, in Sacramentum Mundi, Morcelliana, Brescia 1975, IV, p. 181-223. Per gli studi: I. SANNA,Cristologia antropologica di Karl Rahner, Paoline, Roma 1970; M. GESTEIRA GARZA,La Cristologìa de Karl Rahner, in «Estudios Trinitarios», 21(1987), pp. 61-93.
11) Corso fondamentale sulla fede, Paoline, Alba 1977, p. 298.