Formazione Religiosa

Venerdì, 06 Aprile 2007 20:53

Paure e speranza (Faustino Ferrari)

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Le speranze restano vaghe. Le idee giuste non cadono dal cielo, ma hanno bisogno di gambe per camminare e di braccia per poter essere realizzate.

Speriamo in modo vago,
ma abbiamo paura in modo preciso.

(Paul Valery)

Nel momento in cui ci mettiamo a riflettere sulle nostre paure, ci rendiamo conto che sono estremamente precise. Possiamo dare ad esse un nome e pensarle, anche nel loro svolgimento. Paure relative a catastrofi naturali o a comportamenti umani. Recessione economica, sovrappopolazione, surriscaldamento della crosta terrestre. Inquinamento, deforestazione, buco nella fascia dell’ozono. Scioglimento delle calotte polari, erosione del suolo, avanzamento della desertificazione. Povertà, denutrizione, fame. Terremoti, tsunami, uragani. Carestie, guerre. Terrorismo…

Dietro all’apparente indeterminatezza delle parole e delle espressioni che le descrivono, la nostra mente è capace di costruire tutto il possibile svolgimento della singola catastrofe. L’abbiamo letto sui libri e sui giornali o visto alla televisione. Abbiamo visto mutamenti climatici catastrofici. Orsi polari moribondi su banchine alla deriva. Uccelli migratori che non ritrovano più le loro secolari rotte. Piante “impazzite” che fioriscono in pieno inverno.

Qualora una bomba venisse fatta esplodere nella nostra città, sappiamo bene quali possano essere gli stadi di distruzione derivanti da un’esplosione nucleare. Minuto dopo minuto, ad iniziare dal primo secondo, dall’epicentro dell’esplosione per espandersi nello spazio circostante, negli istanti successivi. Sappiamo quanto potrebbe elevarsi la nube radioattiva ed i tempi di ricaduta del fallout, l’impatto dell’onda d’urto e la distruzione prodotta dal calore e dal fuoco. I tempi di sopravvivenza, a seconda delle esposizioni alle radiazioni e le malattie da radiazione che seguiranno negli anni a venire. Tutto questo è stato documentato a Hiroshima e a Nagasaki. Si tratta soltanto di fare opportuni calcoli, tenendo conto dei megatoni della bomba e della struttura della città. Dal canto nostro, possiamo anche prevedere la sorte che ci sarebbe riservata, a seconda della distanza a cui ci troveremo rispetto a ground zero.

Anche la paura per eccellenza di questi nostri tempi per l’Occidente – il terrorismo – pur riservando volti nascosti all’irrazionalità dei protagonisti, finisce con l’assumere contorni ben precisi. Si tratta del tuo vicino di metropolitana, imbottito di tritolo, che tra pochi istanti si farà esplodere. O del passeggero che siede pochi posti avanti al tuo, che apparentemente sta sonnecchiando, mentre in realtà sta attendendo il tempo prestabilito per il dirottamento aereo. Certo, quello che il terrorismo odierno ci fa temere è proprio l’imprevedibilità. Ma tuttavia la nostra mente è in grado di immaginare e di prevedere: potrà essere l’inquinamento di un acquedotto o la distruzione di una scuola, lo scoppio di una bomba nucleare sporca o lo spargimento di antracite… Di tutto questo, nei decenni scorsi, gli autori di fantascienza già ne hanno parlato in migliaia di racconti e di romanzi. Tutte le nostre paure le possiamo pensare in modo preciso perché l’abisso delle paure già alberga in noi e si alimenta in quella zona oscura (inconscio? Inconscio collettivo?) che la bibbia chiama baratro ed abisso. «Un baratro è l'uomo e il suo cuore un abisso» (Sal 64, 7). Ma tra il pensare le cose ed il metterle in pratica si inserisce la coscienza dell’uomo.

Questo processo che ci porta a determinare in modo preciso le nostre paure, non ci permette di pensare al futuro in maniera positiva. Più si allargano i contorni delle nostre paure pensate ed immaginate e più si restringono i confini incerti del nostro futuro. In questo contesto diventa sempre più facile pensare a future catastrofi, a prodromi di apocalissi, ad un futuro che, paradossalmente, non offre più alcun futuro. Molto del nostro futuro dipende da come ce lo immaginiamo già da ora. Da quali idee abbiano riguardo ad esso. E le nostre paure non ci aiutano ad affrontare un triste futuro, ma ce lo anticipano.

Come cristiani, cosa possiamo mettere sul piatto della bilancia? Una tomba trovata vuota? Il racconto di alcuni testimoni? Uno sconosciuto che spezza del pane a tavola? O che si mostra augure di una pesca più abbondante del solito… Le speranze restano vaghe. Le idee giuste non cadono dal cielo, ma hanno bisogno di gambe per camminare e di braccia per poter essere realizzate.

Come cristiani possiamo mettere in gioco la nostra convinzione (esperienza?) che la vita è più forte della morte e che nel mattino di Pasqua, di fronte a questo mistero che contempliamo, la nostra esistenza si rinnova in Cristo poiché Dio semina un germoglio di speranza nell’oscuro terreno delle nostre infinite paure.

Faustino Ferrari

 

Letto 2552 volte Ultima modifica il Domenica, 15 Gennaio 2017 21:28
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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