Esperienze Formative

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Domenica, 25 Agosto 2024 11:15

Un mosaico di distacchi (Arnaldo Pangrazzi)

Il calendario di ogni persona è segnato da una serie di eventi che ne plasmano la filosofia, la storia e il carattere. Momenti lieti e tristi sono il pane del vivere quotidiano. «La felicità è sempre uguale, ma l'infelicità può avere infinite variazioni» (Lev Tolstoj).

Per alcuni, i momenti critici sono rappresentati da eventi gioiosi quali il matrimonio, una gravidanza, la nascita di un figlio, che comunque comportano cambiamenti nello stile di vita. Per altri riguardano una diagnosi infausta, una grave disabilità, l'impossibilità di proseguire gli studi o di trovare un lavoro, la sensazione di insignificanza della propria vita. Per tutti, periodi critici risultano i distacchi da persone amate, soprattutto quando il congiunto era al centro dell'esistenza, e appare difficile ipotizzare un futuro senza di lui/lei.

Perdite dolorose

Il compianto può essere un nonno, il padre o la madre, il coniuge, un fratello o una sorella, il fidanzato o un amico intimo, il figlio/la figlia o un nipote. Ognuna di queste figure rappresenta legami particolari. Generalmente, l'unico distacco che conoscono i bambini nella scuola elementare, i giovani nelle medie o nel liceo, è l'addio al nonno o alla nonna che lascia tracce profonde, essendo il primo contatto con la morte e carico di forti implicazioni affettive.
Una perdita cruciale riguarda la morte dei genitori che rappresentano le proprie radici, le impronte fondamentali che hanno segnato la propria identità biologica e biografica. I genitori, oltre a trasmettere il dono della vita, sono i canali che hanno plasmato l'educazione, la crescita e i valori dei figli.
E importante fare tesoro di queste presenze, essere riconoscenti a Dio per quanto sono stati capaci di donare, insegnare e comunicare, sapendo anche perdonare i loro limiti e le debolezze.
Meno frequente è l'esperienza di perdita di un fratello o di una sorella, ma quando questo accade, spesso a causa di una malattia grave o di un incidente stradale, gli effetti in chi resta sono profondi. Il fratello o la sorella superstite si trovano in un momento storico in cui stanno sbocciando e forgiando la propria identità, e risulta difficile comunicare il proprio scompiglio interiore.
Con frequenza il giovane si chiude in se stesso e spesso manifesta ribellione verso Dio e rifiuto della Chiesa per quanto accaduto.

La perdita del "presente"

Più frequenti invece sono i lutti legati alla vedovanza: in qualche modo si piange per la perdita del presente, perché con il coniuge si trascorreva il tempo, si prendevano le decisioni, si condividevano gli affetti, i conflitti e le sfide. Molti vedovi, dopo aver trascorso la loro esperienza terrena con il coniuge, si sentono smarriti nell'organizzazione del tempo e dei riti sociali.
La lacerazione per la perdita di un figlio/a, talvolta di un nipote, rappresenta il distacco più doloroso, perché rappresentavano la proiezione nel proprio domani e con essi viene meno il proprio futuro. Di solito sono i figli a seppellire i genitori ed è drammatico quando questa legge biologica si inverte, e il genitore si trova a dover seppellire la creatura a cui ha dato la vita.
Questa tragedia è un capitolo così carico di emozioni che merita una riflessione a parte nel prossimo numero.
Infine, una nota particolare merita la perdita di un bimbo nel periodo di gravidanza.
È un cordoglio generalmente non riconosciuto dalla società, in quanto non c'è stato un funerale, è mancato un riconoscimento pubblico di questa vita, mancano rituali di addio, per cui il dolore resta irrisolto.
La famiglia ferita dal lutto perinatale è spesso priva di sostegno sociale ed ecclesiale e sperimenta un periodo di vuoto e di smarrimento.
I vicini minimizzano la perdita, suggerendo alla coppia di provare ad avere subito un altro figlio e a dimenticare quanto accaduto.
La madre, in particolare, può colpevolizzarsi e sperimentare un senso di fallimento, vivere l'ansia che l'esperienza possa ripetersi, avvertire una profonda solitudine che si traduce, spesso, in depressione.

Ogni lutto ha diverse implicazioni

Ognuna delle perdite sopra menzionate ha le sue implicazioni: un prezzo mentale, fatto di considerazioni e domande; un prezzo emotivo, caratterizzato da sentimenti critici, che albergano nel cuore dei superstiti: un prezzo sociale, espresso da comportamenti, rituali e condotte che manifestano le diverse conseguenze di un distacco doloroso nella storia dei familiari.

Arnaldo Pangrazzi

(tratto da Missione Salute, n. 2/2018, pag. 64)

 

Ventunesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Gs 24,1-2.15-17.18

Dal Libro di Giosuè

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio.
Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

Seconda Lettura Ef 5, 21-32

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo.
Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
 
Canto al Vangelo (Gv 6,63.68)


Alleluia, alleluia.

Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,60-69

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
 

OMELIA

Dio non è prezzo da pagare, come l’Amore non è sacrificio da offrire.
L’Amore è, e basta.
Antecedente ad ogni ‘peccato originale’ v’è un ‘dono originante’, prima d’ogni caduta, ogni infedeltà, ogni fuga.
Prima del ‘peccato’ commesso, c’è una Fedeltà inappellabile.
Gesù a quei tali che non credono alla gratuità del suo amore, ma solo alla propria perfezione religiosa, dice: “Volete andarvene anche voi?” (v. 67). Egli non vuole con sé servi osservanti, ma persone che nella bellezza della loro fragilità, e nella profondità delle loro ferite potranno sperimentare il balsamo di un Amore che lenisce.
Piuttosto che abitare nella ‘casa di Dio’ da schiavi e sperimentare Dio come padre-padrone, sarebbe una grazia cadere nella disgrazia, lontani da lui, perché solo allora saremmo nella condizione di sperimentarlo così come egli è: Padre che corre incontro a suo figlio gettandogli, in lacrime, le braccia al collo, e rivestendolo con vesti da principe per dare così inizio ad una festa che non avrà fine (cfr. Lc 15, 11ss.). Nel medesimo istante in cui l’altro figlio, quello pulito e irreprensibile, è nei campi a lavorare per il suo dio-padrone, come servo in attesa del salario.
D’altra parte sono proprio ‘pubblicani e prostitute’ ad avere occhi e cuore in grado di sperimentare di che stoffa è fatto il loro Dio (cfr. Mt 21, 31s.).
Sono proprio coloro che giungono da molto lontano – da “oriente, occidente” – e che tutti reputavano pagani, maledetti e peccatori, a contemplare in ultima istanza il vero volto del Padre: “Verranno da oriente e occidente e siederanno alla mensa con Abramo” (cfr. Mt 8, 11).
In fondo, l’unico a cui è stato promesso il ‘paradiso’ non è il ‘primo’ religioso del tempio di Gerusalemme, ma l’ultimo disgraziato crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme (cfr. Lc 23, 43).
Insomma, alla fine saranno ancora una volta gli ultimi ad essere i primi nel Regno dei cieli (cfr. Mt 20. 16).
 
Paolo Scquizzato
 
Ventesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Pr 9,1-6

Dal Libro dei Proverbi

La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?

Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.

Seconda Lettura Ef 5, 15-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
 
Canto al Vangelo (Gv 6,56)


Alleluia, alleluia.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice il Signore, rimane in me e io in lui.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,51-58

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
 

OMELIA

Mi capita spesso di ascoltare madri – in realtà più nonne – preoccupate le prime, angosciate le seconde – lamentarsi riguardo figli e nipoti lontani ormai dalla pratica religiosa, disertando Messe domenicale e snobbando serenamente sacramenti e addentellati.
Poche volte invece m’è capitato d’ascoltare le medesime madri e nonne domandarsi quale possa essere l’onestà profusa da figli e nipoti nei luoghi di lavoro, lo stile assunto nella convivenza civile; se il patrimonio accumulato sia solo per il proprio arricchimento personale, o piuttosto mezzo di condivisione per creare nuova ricchezza a beneficio di tutti; se le banche da loro scelte siano colluse o meno col commercio di armi, o se alle prossime elezioni appoggeranno partiti razzisti e xenofobi perché stanchi di orde d’immigrati immaginati causa dei molti crimini di questo nostro paese….
Perché tanta angoscia se le ‘nuove generazioni’ non si nutrono più alla mensa eucaristica del ‘corpo e sangue di nostro Signore’ nascosto in un’ostia, e così poca ‘attenzione’ nel vedere ‘la carne e il sangue’ agonizzante e straziata in luoghi di guerra, in infernali centri di accoglienza, nelle carceri sovraffollate, nei bambini abusati, nelle donne maltrattate, negli psichiatrici dimenticati, negli operai derubati, nei precari maltrattati…
Ecco cosa Gesù intendeva col dire ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna’: entrare in una relazione viva con lui attraverso ogni relazione che possiamo vivere nel nostro quotidiano: toccare, guardare, curarsi della ‘carne e del sangue’ di tutti i poveri cristi con cui egli stesso ha voluto identificarsi, perché ancora una volta dagli altari delle nostre chiese egli continua a gridarci che «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
Qui si verifica in ultima analisi la possibilità di vivere questa nostra breve vita in maniera eterna, ossia piena e realizzata.
 
Paolo Scquizzato
 
Diciannovesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura 1Re 19,4-8

Dal primo libro dei Re

In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra.
Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.
Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Seconda Lettura Ef 4,30-5,2

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
 
Canto al Vangelo (Gv 6,51)


Alleluia, alleluia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,41-51

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

OMELIA

«Chi crede ha la vita eterna”»;
«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».
‘Credere’ non è aderire intellettualmente ad una verità, o limitarsi a professarla con la bocca: «Non chi mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli» (Mt 7, 21).
“Vita eterna” poi non significa ‘vita oltre la morte’, bensì ‘vita piena, compiuta, realizzata’ nel qui ed ora dell’esistenza, una qualità di vita così alta capace di vincere anche la morte.
Il ‘pane’ infine, è simbolo della vita, per cui con ‘mangiare la mia carne’ Gesù non invita a nutrirsi di lui, ma di far proprio il suo stile di vita, portare all’estreme conseguenze la propria umanità: un vivere ‘da Dio’ insomma, perché solo Dio poteva essere così umano come Gesù.
Mangiare la sua carne significa fare della propria un dono, attraverso la compassione, la benevolenza, la pratica d’una giustizia giusta nei confronti d’ogni vita. La questione in fondo è domandarsi di quale ‘pane’ ci sfamiamo quotidianamente per il compimento del nostro essere. Di quale pane abbiamo fame, di quale pane ci nutriamo per portarci a compimento?
Torna qui un tema caro nel vangelo di Gesù: la nostra fame esistenziale si estingue non tanto nel nutrirsi alla propria piccola mangiatoia, ma nel provvedere alla fame degli altri.
 
Paolo Scquizzato
 
Diciottesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Es 16,2-4.12-15

Dal libro dell'Esodo

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne.
Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».
Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”».
La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 77 (78)

Donaci, Signore, il pane del cielo.

Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando alla generazione futura
le azioni gloriose e potenti del Signore
e le meraviglie che egli ha compiuto.
 
Diede ordine alle nubi dall’alto
e aprì le porte del cielo;
fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede loro pane del cielo.
 
L’uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza.
Li fece entrare nei confini del suo santuario,
questo monte che la sua destra si è acquistato.

Seconda Lettura Ef 4,17.20-24

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri.
Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
 
Canto al Vangelo (Mt 4,4b)


Alleluia, alleluia.

Non di solo pane vivrà l'uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,24-35

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

OMELIA

“Dio allevia molte pene, non ci fosse bisognerebbe inventarlo”. Si tratta di un passaggio di ‘Cambiare l’acqua ai fiori’, il fortunato romanzo di Valérie Perrin uscito in Italia nel 2021.

Gesù domanda ai suoi: «voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani…» (v. 26).
Siamo sempre lì.

Cosa spinge a ‘cercare Dio’? Cosa muove chi crede a credere? Forse il fatto che ‘Dio allevia molte pene?’. O perché garantisce il ‘pane’ necessario, la salute fisica, magari una sicurezza economica, il benessere dei propri familiari, la pace nel mondo…?
La credenza in un dio può ridursi ad un ‘self service’ religioso, in cui trovare ciò che aiuta a star meglio, consolazione alle proprie frustrazioni, polizza assicurativa sulla vita, serenità dell’anima?
Insomma si sta ‘dalla parte di Dio’ per un’utilità, fosse anche la più nobile?
Ognuno risponda nel segreto del proprio cuore, personalmente mi convinco sempre più che un Dio utile è semplicemente inutile. L’utilità spingerà sempre a cercano i ‘doni’ di un dio, piuttosto che Dio come dono.
Il grande pastore luterano, Dietrich Bonhoeffer scrive: «Io vorrei parlare di Dio non ai confini, ma al centro; come parlare di cristianesimo al margine di ogni linguaggio religioso? Come parlare di Dio senza religione?». Per il teologo tedesco le religioni e i loro apologeti hanno trasformato Dio in un “tappabuchi”, in un ‘deus ex machina’, come quelle divinità che apparivano sulla scena del teatro greco mediante un apposito meccanismo e intervenivano per risolvere una situazione difficile. Dio diventa così risorsa necessaria, ipotesi esplicativa, il fondamento della fiducia, dell’etica e della speranza.
Ma il mondo è giunto alla sua ‘maggiore età’ e non ammette più questo piccolo dio.
«Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo (…), ma significa essere uomini. Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto religioso con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare – questa non è autentica trascendenza – bensì una nuova vita nell’“esserci per gli altri”, nel partecipare all’essere di Gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta che è raggiungibile». (D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa).

 
Paolo Scquizzato
 
Diciassettesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura 2Re 4,42-44

Dal secondo libro dei Re

In quei giorni, da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.
Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».
Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145)

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
 
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
 
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.

Seconda Lettura Ef 4,1-6

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
 
Canto al Vangelo (Lc 7,16)


Alleluia, alleluia.

Un grande profeta è sorto tra noi,
e Dio ha visitato il suo popolo.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,1-15

Dal vangelo secondo Giovanni

IIn quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

OMELIA

«Chiuso fra cose mortali /
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?». (G. Ungaretti)
«Di che è mancanza questa mancanza, cuore,
che a un tratto ne sei pieno?» (M. Luzi).
Il cuore percepisce che tutto non è ancora Tutto.
Il pane non basta alla fame dell’uomo. «Duecento denari…», uno sproposito, non saranno mai abbastanza per soddisfare la fame di vita. Siamo solo la ‘razione di vita per l’oggi’, cinque pani e due pesci. Bastiamo solo per quest’oggi, per questa vita, troppo breve per esserci sufficiente.
E questo perché siamo essenzialmente relazione. Relazione col Tutto; parte del Tutto. Se viviamo incentrati sul nostro piccolo ego, saremo morti viventi attaccati coi denti a questa breve storia che è la vita.
Un ramo d’albero se pensa d’essere solo un ramo, vivrà nell’ossessione di essere tagliato, di spezzarsi, di cadere a terra. Ma se si percepirà parte dell’albero, relazione essenziale con l’alberò saprà che se anche cadrà a terra la sua vita è immensamente più grande, e per questo non può finire in quanto albero appunto, linfa vitale che non si esaurirà. E la sua pace sarà grande.
La vita che viviamo, se partecipata nella relazione è moltiplicata, entrando così nella sfera dell’eterno; acquisisce una portata in grado di vincere anche la morte. E trasformerà questo povero mondo in un giardino, luogo delle relazioni sane e vitali, dove gli altri da nemici diverranno compagni, etimologicamente ‘coloro con cui si condivide il pane’. Il testo parla di «molta erba in quel luogo» desertico (v. 10), un giardino appunto, figura di paradiso.
 
Paolo Scquizzato
 
Sedicesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Ger 23,1-6

Dal libro del profeta Geremia

Dice il Signore:
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 22 (23)

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia.
 
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Seconda Lettura Ef 2,13-18

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l'inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.
 
Canto al Vangelo (Gv 10,27)


Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.

Alleluia.

Vangelo Mc 6,30-34

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

OMELIA

Gesù invita i suoi ad «andare in disparte per riposarsi un po’» (v. 31).
Abbiamo bisogno di un ‘ubi consistam’, un luogo dove far riposare finalmente il cuore. Siamo stati fin troppo ‘fuori luogo’, lontani dal nostro Centro. È tempo di tornare a casa.
«Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?» (Thomas Eliot)
Il Vangelo identifica questo luogo, non tanto con un luogo fisico, piuttosto con uno stile di vita.
Occorre notare che l’episodio raccontato da Marco è posto tra due banchetti, quello consumato nel palazzo di Erode sul Macheronte, raccontato nei versetti immediatamente precedenti (vv. 21-29), e quello che verrà raccontato nei versetti successivi, detto della ‘moltiplicazione dei pani’ (vv. 35ss.).
Gesù invita i suoi a compiere un passaggio di mentalità e quindi di comportamento nei riguardi della vita: uscire da uno stile di vita fondato sul potere, l’avere, il dominio e la violenza – proprio di Erode – che indìce un pasto dove l’unica portata è data dalla testa decapitata del Battista servita su un vassoio. Chi si gioca la vita sul proprio ego, può solo dispensare morte e nutrirsi di cadaveri.
Ma esiste anche un altro modo di concepire la vita, quello che condivide ciò che si possiede, e «si fa pane alla fame degli altri» (David Maria Turoldo), rappresentato dal banchetto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Chi si gioca sulle relazioni autentiche, uscendo dalla prigione dell’ego si nutre di vita e scavalca la morte.
Dunque l’unico luogo di vita, di pace, dove il cuore può finalmente riposare, consiste nel vivere in un ‘certo modo’.
Sarà sempre l’altro il riposo del mio cuore, il segreto del senso e della felicità, la mia ultima – e unica – terra promessa.
 
Paolo Scquizzato
 
Quindicesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Am 7,12-15

Dal libro del profeta Amos

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».
Amos rispose ad Amasìa e disse:
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 84 (85)

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: 
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, 
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno, 
giustizia e pace si baceranno. 
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene 
e la nostra terra darà il suo frutto; 
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

Seconda Lettura Ef 1,3-14

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati - secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà -
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
 
Canto al Vangelo (Cf. Ef 1,17-18)


Alleluia, alleluia.

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Alleluia.

Vangelo Mc 6,7-13

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

OMELIA

«Li chiamò a sé… e prese a mandarli» (v. 7). Essere dei suoi significa essere per gli altri.
‘E dava loro potere…’. Uno solo è il ‘potere’ di cui i suoi – e quindi noi – sono investiti: quello di vincere il male col bene, ovvero mettendo in circolo l’amore. Per questo li manda ‘a due a due’ (v. 7). Il due è principio di comunione. Occorre essere almeno in due per poter incarnare l’amore.
Per amare occorre ‘non possedere nulla’, perché finché si posseggono cose si daranno queste ma non sé stessi. Il rischio sotteso al fare il bene è donare tutto tranne che l’essere. Gesù ha dato la sua vita, non le sue cose.
Al discepolo non è lecito portare-possedere neanche il pane nella sua avventura di bene (v. 8b). Il pane nel vangelo è simbolo della vita, e questa non dipende da quanto pane posseggo o mangio, ma da quello che riesco a condividere con chi ne è privo, ossia da quanta vita riesco ad elargire. Solo quando lascerò mangiare la mia vita come un pane, avrò con me il pane necessario che mi assicura la vita.
Noi viviamo di ciò che doniamo.
In egual modo, questo vangelo ci ricorda che la vita vera non dipende dal possedere una sacca e tanto meno dal denaro da riporci dentro: «Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12, 15).
Solo in questa povertà, in questo ‘vuoto’ interiore, in questo nulla esistenziale i discepoli potranno scacciare demoni e guarire gli ammalati (cfr. v 13). Perché finalmente da quella ‘insufficienza’ emergerà la Presenza, l’unico Bene in grado di guarire e dare la vita.
In At 3, 1-10 Pietro e Giovanni operano ‘miracoli’ proprio perché non possiedono nulla: «Pietro disse al paralitico: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”» (At 3, 6).
Due oggetti però sono ammessi nell’avventura del bene: il bastone e i sandali. Il bastone richiama il legno che aprì il Mar Rosso (cfr. Es 14, 16) e che fece scaturire dalla roccia l’acqua di vita indispensabile durante il cammino nel deserto (Cfr. Es 17, 5s.). È simbolo della croce, massima debolezza umana, vuoto assoluto, ma proprio per questo fonte di energia in grado di vincere la morte.
Infine è lecito avere con sé dei sandali. Nell’antichità il sandalo è la calzatura degli uomini liberi, mentre gli schiavi andavano a piedi scalzi. Se si vive la logica del bene, se ci si fa dispensatori dell’essere e non dei beni, se cominciamo a guarire le ferite degli uomini risollevandoli dalla loro indegnità, allora sapremo veramente cosa significa essere liberi, altrimenti resteremo schiavi del nostro egoismo, anche possedessimo calzature splendide, borse zeppe di denaro e dispense traboccanti di pane.
 
Paolo Scquizzato
 
Quattordicesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Ez 2,2-5

Dal libro del profeta Ezechiele

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 122 (123)

I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi 
alla mano dei loro padroni.

Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio, 
finché abbia pietà di noi.

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti, 
del disprezzo dei superbi.

Seconda Lettura 2Cor 12,7-10

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
 
Canto al Vangelo (Cf. Lc 4,18)


Alleluia, alleluia.

Lo Spirito del Signore è sopra di me:
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.

Alleluia.

Vangelo Mc 6,1-6

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.

OMELIA

Gesù fa ritorno tra ‘i suoi’ a Nazareth, tra quelli che presumono di saper tutto su di lui, di conoscerlo molto bene. Di possederlo. Ma proprio qui, ‘egli non poté operare alcun prodigio’ (v. 5).
Interessante. La conoscenza del Mistero impedisce di fatto al Mistero di manifestarsi.
Com’è vero che solo quando questo ‘io’ morirà saprò chi sono, allo stesso modo quando morirà la mia conoscenza di Dio, egli si farà conoscere, operando prodigi.
In fondo la grande Tradizione mistica questo l’ha sempre saputo: «L’uomo non deve accontentarsi di un Dio pensato. Perché non appena svanisce il pensiero, svanisce anche quel Dio» (Meister Eckhart).
«Si conosce meglio Dio non conoscendolo» (Agostino).
«La suprema conoscenza di Dio è conoscere Dio come sconosciuto» (Tommaso d’Aquino).
Ma noi esseri umani, artefici indomiti di religioni, abbiamo inventato ‘verità eterne’ rivelate da dio e garantite dalla Chiesa, catechismi, definizioni, dottrine… Abbiamo intentato la grande scalata al cielo, per poi scoprirlo drammaticamente vuoto.
Credo sia questo il tempo di tornare alla fede autentica, lasciando cadere tutte le credenze.
Se ‘credenza’ è convinzione solida senza fondamento verificabile, la fede è libertà da tutte le credenze. “Dio è libero da ogni dio” (Arregi). Da tutte le verità che professiamo come rivelate, da tutte le immagini che ci fabbrichiamo, da culti e riti con cui lo onoriamo.
Le credenze in un dio sono e saranno sempre passibili della cultura in cui si sono affermate, da una costruzione umana collettiva. La fede di contro è fiducia profonda in Ciò che non muta: in Sé, nel prossimo, nel Tutto o nella Fonte autentica della realtà. E questa fiducia fa sì che emerga e fiorisca ciò che vi è di più profondo e autentico, il meglio di sé, la possibilità che ci abita: gratuità, tenerezza, spirito vitale. Fiducia che ci rende liberi, audaci, buoni.
Ed è proprio laddove si coltiva questa fiducia che ci sostiene e ci anima, che Dio si darà, si manifesterà. E opererà prodigi. Perché Dio altro non è che questo. Con questo nome, con un altro nome o senza alcun nome.
 
Paolo Scquizzato
 
Tredicesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sap 1,13-15; 2,23-24

Dal libro della Sapienza

Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c'è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 29 (30)

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera è ospite il pianto
e al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

Seconda Lettura 2Cor 8,7.9.13-15

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest'opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
 
Canto al Vangelo (Cf. 2Tm 1,10)


Alleluia, alleluia.

Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.

Alleluia.

Vangelo Mc 5,21-43

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

OMELIA

Nella vita non ci è chiesto di diventare migliori ma solo noi stessi.

Migliorarsi per compiacere il mondo, farsi trovare sempre adeguati, corrispondere alle altrui aspettative, alla lunga si rivela un bagno di sangue (l’emorroissa in questo brano), tanto da vivere da morti (la figlia di Giàiro).

Le due figure femminili di questo brano sono due facce dell’unica realtà umana: la mia.

È fin troppo facile ritrovarsi a vivere una vita svuotata. Svuotata di senso e di tutto: amori esauriti; lavori alienanti mai scelti; recita di ruoli da commedianti sul palco dell’esistenza, e via dicendo.

Vite addormentate insomma, sempre in fieri, mai vissute. Sognate.

L’unico sogno di Dio, stando alla Scrittura, è che ciascuna creatura ‘abbia la vita e l’abbia in abbondanza’ (cfr. Gv 10, 10). Per questo ciascuno è chiamato a venire alla luce di sé, risvegliandosi alla propria pienezza, la propria verità.

Gesù entra nella stanza della ‘morta-vivente’ e prendendole la mano è come le dicesse: ‘Alzati, ora prendi in mano la tua vita, fanne un capolavoro di fecondità. Vivi in pienezza, non pagare più il prezzo ad altri per la tua felicità. Sii finalmente te stessa. Su, svegliati, intraprendi la strada che sei in grado di percorrere da te, decidi da te la direzione da imprimere alla tua vita’.

«E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì suo corpo che era guarita dal male» (v. 29).

Comincia a vivere da vivo chi intraprende con decisione il viaggio verso sé stesso, risalendo alla propria sorgente interiore. Prendendone contatto, ringraziando per avviarsi sulla propria personalissima strada, portando a compimento questa ‘mia’ vita, per quanto ferita e derelitta possa essere, ma sempre vincente perché la mia.

La domanda alla fine non sarà perciò ‘cosa ho fatto nella mia vita’, ma piuttosto ‘cosa ho fatto della mia vita’.

«Il processo di ricerca è sempre una discesa graduale alla scoperta di sentimenti sepolti, alla scoperta del proprio mondo interiore, dove è possibile riprendere in mano il filo della propria storia. L’uomo scopre così che chiunque abbia sepolto o espulso dalla sua coscienza e lasciato dietro sé nel passato (il bambino che era, i genitori come figure di dimensioni sovraumane, persone che un tempo amava o temeva) è ancora vivo dentro di lui; qualunque cosa sia stata sepolta, esiste ancora nel mondo interiore. Qualsiasi cosa sia stata smembrata, è stata come “sepolta viva” e quando la si scopre, è lì, intatta come allora» (J.S. Bolen)

 
Paolo Scquizzato
 

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