Sulle tecniche di pesca nel Kinneret nel I secolo i dati archeologici sono scarsi: solo pesi di rete e ancore. Per una ricostruzione bisogna ricorrere a dati etnografici sulle tecniche di pesca tradizionali usate fino a inizio ‘900: non è garantito che queste fossero rimaste immutate dall’antichità fino a un secolo fa, ma possono dirci qualcosa perché:
- se i grandi cambiamenti nell’ecosistema locale si sono avuti solo nel corso del ‘900, le zone di pesca di poco più di 100 anni fa non devono essere state molto diverse da quelle di 2000 anni fa (dato lo stretto rapporto tra tecniche di pesca e caratteristiche del lago);
- i metodi di pesca sono cambiati molto solo nel corso del ‘900; prima erano molto semplici, basati su tecnologie e conoscenze che erano disponibili già nell’antichità.
La “sagena”
E’ la tecnica tradizionale, ben nota anche nell’antichità, più usata nella pesca commerciale (nei Vangeli è citata da Mt 13,47).
Era una rete molto lunga che si distendeva a una certa distanza dalla riva per poi essere trascinata a terra; in alto aveva una corda dotata di galleggianti, in basso una corda con pesi, in modo che una volta distesa formasse come una parete tra la superficie e il fondale; l’altezza variava da 8 m al centro a 3-4 m ai lati, la lunghezza era di 150-200 m.
La rete veniva portata al largo su una barca e distesa parallelamente alla costa, collegandola a terra a un estremo con una corda perpendicolare alla costa e all’altro estremo con una corda tirata verso riva dalla barca. Trascinando la rete verso riva, si catturavano i pesci tra la rete e la costa; il capobarca durante l’operazione andava verso la rete ed eventualmente si tuffava per disincagliarla se era rimasta incastrata in qualche punto. Quando la rete si avvicinava alla riva, i pesci si trovavano ammucchiati nella parte centrale, più alta, che formava come una sacca, fatta di maglia più stretta e da fili più resistenti. Si tirava a riva prima la corda di fondo per evitare che i pesci scappassero da sotto e poi la parte alta con i galleggianti.
Questo tipo di rete era fatta per una pesca su grande scala: la sagena catturava tutto ciò che incontrava e che non sfuggiva alle sue maglie (era dunque una rete “a strascico”). Quando la rete era a terra, bisognava separare i pesci e gettare in acqua quelli non mangiabili. Poi la rete doveva essere eventualmente riparata, se qualche maglia si era rotta, riavvolta e sistemata di nuovo sulla barca; e quest’operazione poteva essere ripetuta alcune volte durante la giornata.
L’uso di reti di grandi dimensioni presuppone l’impiego di barche abbastanza grandi.
La rete da lancio
Molto utilizzata nell’antichità, era una rete circolare con pesi, usata da un solo pescatore in barca o a piedi. A questo tipo di rete si riferiscono i Vangeli in Mc 1,16-18 e Mt 4,18. Si trova raffigurata in molti mosaici di epoca romana.
Per la pesca di sardine si usava una rete a maglia stretta con piccoli pesi. Il pescatore andava al largo con la barca (le sardine si spostano in banchi lontano dalla costa); individuato il banco, lanciava la rete distendendola sull’acqua mentre un altro pescatore teneva in posizione la barca; i pesi facevano affondare la rete e il pescatore la chiudeva (tirando delle corde che scorrevano in anelli) formando una specie di sacca che catturava i pesci. Per pesci più grandi si usava un tipo di rete a maglia più larga con pesi più grandi.
Reti statiche
Semplicemente si calavano in acqua e si lasciavano ferme aspettando che i pesci ci finissero dentro; erano utilizzate di notte per catturare pesci in banco. Un tipo di rete statica, utilizzata ancora a inizio ‘900 (ma del cui impiego in antico non c’è prova) era il “tramaglio”, una rete con tre maglie in parallelo, più larghe quelle esterne e più stretta quella interna: i pesci potevano passare attraverso le maglie larghe ma si insaccavano in quella stretta senza più riuscire a scappare.
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La pesca al tempo di Gesù, nel lago di Galilea