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3. La religione
Archeologia e religione "popolare". La Bibbia offre molte informazioni sulla religione dell'antico Israele. Ma è pur sempre la voce di una minoranza: "scritta essenzialmente da sacerdoti, profeti e scribi che erano degli intellettuali, soprattutto riformatori religiosi, essa ci presenta un quadro altamente ideale della religione, quale 'avrebbe dovuto essere' piuttosto che quale 'era' veramente" (W. G. Dever). Inoltre, rappresentando ciò che riguardava le istituzioni ufficiali, essa tende a trascurare ciò che ufficiale non era, ad esempio la religione privata e famigliare, i culti popolari, la religione delle donne, ecc., che erano però le pratiche religiose della maggior parte della popolazione dei regni di Israele e di Giuda. I testi biblici accennano, sì, ad aspetti di questa "religione popolare"; ma ciò che lasciano trasparire è incompleto e a volte un po' distorto. E' piuttosto l'archeologia che può illuminare la religione della gente comune. Spesso infatti i resti materiali riflettono più la vita delle masse che quella dei gruppi di potere e documentano le concrete pratiche religiose più che le teorie teologiche.
Due gruppi di ritrovamenti archeologici possono illustrare quest'ambito in modo privilegiato: tracce di luoghi di culto e oggetti espressivi della religiosità.
Il tempio di Gerusalemme. Non ci sono seri motivi per dubitare dell'esistenza in Gerusalemme fin dall'epoca di Salomone di un tempio dedicato a Yahweh, ma nessuna traccia diretta di esso è venuta né può venire dall'archeologia, perché eventuali resti sopravvissuti alla distruzione del 586 a.C. per mano dei Babilonesi e alla successiva ricostruzione dopo il ritorno dall'esilio vennero inglobati sotto la grande spianata su cui sorse il tempio di Erode. E in tale area, nella sua odierna delicatissima condizione di luogo sacro e conteso, è impensabile qualunque progetto di indagine archeologica.
Neppure l'epigrafia ha finora offerto una documentazione certa sul tempio nel periodo precedente l'esilio, non essendo certa l'autenticità della "Iscrizione di Yehoash" e della citazione del "tempio di Yahweh" su un piccolo oggetto che rappresenta un melograno in avorio con incise due brevi frasi:
(appartenente) alla Casa (tempio) di Yahweh / sacro ai sacerdoti.
L'autenticità dell'oggetto è discussa. Se autentica, l'iscrizione apparterrebbe all'unico oggetto legato al tempio di Gerusalemme di epoca precedente l'esilio: il tipo di scrittura fa infatti pensare a fine VIII sec. a.C.
E' possibile che, almeno fino a Giosia (2^ metà del VII secolo a.C.), il tempio di Gerusalemme non ospitasse unicamente il culto di Yahweh, ma che in esso fosse venerata anche la dea Asherah, visto che la Bibbia attribuisce a Ezechia e a Giosia la rimozione dal tempio di oggetti cultuali di Asherah (2Re 18,6.23,4). Insomma, anche in Giuda e nella stessa Gerusalemme il culto di Yahweh non ebbe per molto tempo problemi di coesistenza con quello di Asherah, così come avveniva nei santuari del regno di Israele 8come da vari indizi risulta per i santuari di Samaria e Betel).
Luoghi di culto. In altre parti del territorio di Giuda, come di quello di Israele, sono invece stati messi in luce resti di strutture e oggetti di culto di grande interesse.
Va ricordata anzitutto la massiccia installazione cultuale nota come "Alto luogo di Tel Dan", forse già costruita nel X secolo, che fu sicuramente utilizzata lungo i secoli IX e VIII: tipico esempio di bāmôt ("alti luoghi") di tipo cananeo che più tardi autori ed editori della Bibbia, di ambito giudeo e fedeli al tempio di Gerusalemme, disapprovarono aspramente ma che durarono come centri di culto lungo tutta la storia dei regni di Israele e di Giuda. Nella sua fase meglio nota (VIII secolo) la struttura principale era costituita da un podio quadrangolare (alto 3 m su un'area di circa 18 mq), edificato in blocchi di pietra accuratamente squadrati con inserzioni di travi lignee; vi si accedeva per un'ampia scalinata, preceduta da un grande "altare a 4 corni". Sul podio un largo ambiente aveva due locali sul retro. Il tutto formava quello che lo scavatore, l'israeliano A. Biran, ha interpretato come un santuario all'aperto, identificandolo con un tipico bāmâ biblico.
A Tell el-Far'a (la biblica Tirzah), che fu per qualche tempo capitale di Israele agli inizi del IX secolo, la scoperta presso la porta della città di una massēbāh (stele verticale) ha rivelato un tipico "santuario d'entrata" che, accanto a un gruppo di statuette femminili, parla di una religiosità articolata in forme e luoghi di culto non assimilabili a quanto gli autori biblici volevano accentrato in Gerusalemme.
Quanto al regno di Giuda, a Be'er-sheba' il ritrovamento dei resti di un "altare a 4 corni", che risultava essere stato smantellato a una data verso fine VIII secolo, ha indotto il suo scopritore, l'archeologo israeliano Y. Aharoni, a ipotizzare la presenza di un tempio che potrebbe essere stato demolito negli anni di Ezechia: traccia archeologica della riforma religiosa promossa da questo re?
Poco più a est, Arad, una piccola fortezza giudea nel Negev, ha offerto i resti di un tempio del IX-VIII secolo con vari elementi cultuali: nel cortile antistante era posto un altare in pietra con tavole per offerte, mentre nella stanza più interna c'erano tracce di incenso presso una nicchia preceduta da gradini e due pietre sacre (le bibliche massēbôt). Il ritrovamento di una statuetta in bronzo di leone accovacciato (animale associato al culto di Asherah) ha indotto qualche studioso a ipotizzare che nel tempio di Arad il culto di Yahweh fosse associato a quello di un'altra divinità: un esempio di quel sincretismo religioso denunciato dai profeti? o addirittura segno che il culto di Asherah era così integrato nella religiosità israelitica da associarsi facilmente a Yahweh, magari pensando la dea come sua consorte?
Vari resti cultuali trovati a Kuntillet Ajrud, un punto di sosta per carovane verso il deserto del Sinai, segnalano la presenza nell'VIII secolo di un santuario presso la porta dell'abitato. Tra i ritrovamenti spiccano soprattutto delle iscrizioni contenenti formule di benedizione collegate a Yahweh ma anche ad altre divinità affiancate a Yahweh, tra cui El, Ba'al e Asherah (es.. "Sia X benedetto da Yahweh e dalla sua Asherah"). Il loro significato conferma la diffusione in quest'area di Giuda del culto associato di più divinità. In due iscrizioni Yahweh è associato a dei luoghi o territori (Y. di Teman, Y. di Samaria), cosa che fa pensare che nell'VIII secolo a.C. Yahweh non era ancora visto come dio universale, signore di tutto il mondo, ma era percepito come una divinità locale; solo a partire da fine VII secolo (con il Deuteronomio) si affermò, contro la situazione rappresentata da queste iscrizioni, l'idea di Yahweh come dio sovra-territoriale.
Un'iscrizione in una tomba dell'VIII secolo trovata a Khirbet el-Qom presso Hebron, pur nell'incerta leggibilità del testo, fa pensare che Asherah fosse considerata la consorte di Yahweh con una funzione di intermediaria tra il fedele e il dio:
Uriyahu, il principe: questa è la sua iscrizione. Sia benedetto Uriyahu da Yahweh, che lo ha salvato dai suoi nemici per mezzo della sua Asherah
Queste iscrizioni indicano, insomma, che il culto per altre divinità, così fortemente condannato nei testi biblici e dai profeti dei secoli VIII e VII, era invece ben vivo e diffuso; il monoteismo era una formulazione ideale della Bibbia, ma la pratica della religione popolare era tutt'altra cosa.
Oggetti legati al culto. Accanto a luoghi di culto l'archeologia ha messo in luce molti oggetti che riflettono la varietà delle idee e delle pratiche religiose negli antichi Israele e Giuda: supporti per offerte, piccoli "altari a 4 corni" usati probabilmente per bruciare incenso, vasi cultuali per offrire libagioni rituali, modellini di templi in terracotta usati nelle case private, figurine di animali poste in tombe con significato magico-religioso, ecc.
Ma gli oggetti più intriganti sono figurine femminili in terracotta (ne sono state trovate più di 2000): rappresentano una figura femminile nuda, talvolta con seni accentuati e la parte bassa del corpo molto stilizzata, che richiama probabilmente una divinità materna e protettrice della maternità. Secondo certi archeologi, tali statuette rappresentano un oggetto di culto tipico delle donne. Queste, escluse dalla vita pubblica e confinate per lo più nelle faccende domestiche, si rivolgevano di preferenza a una divinità femminile, sentita come più vicina ai loro bisogni e alla loro vita di donne rispetto a un dio come Yahweh, divinità maschile, coinvolto nella storia "politica" della nazione e forse sentito come lontano. Si trattava probabilmente della dea Asherah, venerata in vari modi nella zona siro-palestinese: un'espressione, anche questa, di quella "religiosità popolare" che gli autori biblici lasciarono intravedere ma in modo critico e che doveva invece essere ben più sentita della religione ufficiale più legata ai circoli delle élites. Si tratta di reperti non a caso rinvenuti in abitazioni private, per lo più in punti della casa più facilmente connessi con attività di economia domestica svolte dalle donne, e molto spesso ritrovati insieme a materiali tipici di queste attività (aghi, pesi da telaio, vasellame per cucinare, piatti, resti di cibo, ecc.).
Il culto centralizzato: l'azione di Ezechia. Rispetto a questa religiosità diffusa e popolare, si manifestò nel regno di Giuda, nella fase storica successiva alla caduta del regno del Nord, una tendenza a imporre dall'alto una forma "ufficiale" e accentrata di culto.
La Bibbia attribuisce a Ezechia un'azione di "riforma" religiosa che puntava ad accentrare il culto nel tempio di Gerusalemme; tale notizia, benché non facile da precisare, è un segnale del forte dinamismo culturale e religioso che l'epoca di Ezechia (fine VIII secolo a.C.) rappresentò per il regno di Giuda.
Rispetto alla varietà di idee religiose e di pratiche di culto che coesistevano in precedenza, probabilmente senza grossi contrasti, cominciò a manifestarsi una nuova tendenza a uniformare la pratica religiosa e le espressioni cultuali. In conseguenza del concentrarsi nella capitale di una consistente percentuale (quasi un terzo, si presume) della popolazione, la più marcata centralità di Gerusalemme favorì il consolidarsi del potere regio centrale, e questo cercò di rafforzare la sua autorità anche nell'ambito religioso.
Quest'azione centralizzatrice fu attuata in un'atmosfera di fermento culturale suscitata dal progetto politico di Ezechia; ed è probabile che in questo clima si sia avviata o intensificata anche una riflessione sulla vicenda storica e religiosa del popolo di Giuda (e di Israele) determinante per la formazione di una parte importante della letteratura biblica: l'epoca di Ezechia, insomma, come la prima significativa dal punto di vista della composizione letteraria.
La riforma di Giosia. Con il regno di Giosia (yo'šîyāhû) (640-609 a.C.) l'espressione ufficiale della religione e del culto in Giuda trovò una definizione organica e coerente di enorme importanza per l'identità israelitica e per lo sviluppo del monoteismo biblico. Della riforma religiosa che la Bibbia attribuisce a Giosia (2Re 23) le linee essenziali sembrano essere le seguenti.
L'espediente del ritrovamento nel tempio di Gerusalemme di un "antico" manoscritto contenente il "Libro della Legge" conferì l'autorità della tradizione a una riforma innovativa. Si trattava forse del nucleo originario del libro del Deuteronomio, che esprimeva i concetti fondamentali dell'ideologia di quello che potrebbe essere definito il "movimento per l'unicità di Yahweh": Yahweh è dio unico, è colui che ha condotto il suo popolo fuori dall'Egitto e gli ha dato la terra di Canaan, tra Yahweh e il suo popolo c'è un rapporto speciale basato su un patto (la "Legge") che impegna il popolo alla fedeltà, il tempio di Yahweh deve essere uno solo e senza manifestazioni di culto troppo materiali. Questo comportava l'impegno a imporre l'unicità del dio, del culto e del luogo di culto; il che significava potenziare il tempio di Gerusalemme – facendone tra l'altro luogo di convergenza dei fedeli da tutto il regno con la trasformazione della Pasqua da antica festività pastorale a festa di pellegrinaggio collegata al tema dell'uscita dall'Egitto – ed eliminare gli altri centri cultuali, smantellandone gli edifici e trasferendone i sacerdoti a Gerusalemme in funzioni subalterne.
Dietro la riforma di Giosia si intravede un sensibile cambiamento nella mentalità come nella gestione del potere. C'era una novità culturale: la pretesa "scoperta del rotolo della Legge nella casa di Yahweh" (2Re 22,8) da parte del sacerdote Hilkiah segnala l'uscita della scrittura dal tradizionale controllo dello stato; e c'era una novità nella gestione del potere: il testo scritto fu usato come strumento per sostenere un programma di riforma religiosa in cui i sacerdoti e il tempio avevano assunto un peso politico notevole.
Tombe e pratiche funerarie. Il corpo del defunto veniva inumato, perché gli Israeliti rifiutavano la cremazione (salvo casi eccezionali, in cui i resti combusti erano posti in urne o giare); il cadavere, una volta rivestito, era deposto sul pavimento o su panche in pietra ricavate nella tomba. La sepoltura poteva essere primaria (il cadavere era inumato in modo permanente e non più rimosso) o secondaria (dopo una deposizione temporanea finché il corpo fosse decomposto, lo scheletro veniva sistemato quasi sempre in una fossa).
Sono ben attestate le tombe di famiglia, ricavate in grotte naturali o in ambienti scavati nella roccia, spesso costituite da varie camere per sepolture multiple, ognuna con panche di pietra lungo le pareti per deporvi temporaneamente i cadaveri. Questo tipo di sepolcri si diffuse ampiamente in Israele e in Giuda tra X e VII secolo a.C. In particolare, in Giuda sono state indagate almeno 250 tombe, soprattutto nelle vicinanze di Gerusalemme. Alcuni di questi sepolcri hanno rivelato oggetti e iscrizioni di notevole importanza.
Una tomba di fine VII secolo, che è parte di un complesso funerario rupestre situato a Ketef Hinnom poco a SW di Gerusalemme, ha rivelato due amuleti in forma di minuscoli rotoli in argento: entrambi recano un'iscrizione con un testo di problematica decifrazione, ma vi compare sicuramente la benedizione biblica di Nm 6,24-26. Si tratta dunque dei più antichi manufatti che conservino un passo biblico:
[...]hu. Sia tu benedetto/a da Yahweh, il guerriero, colui che respinge il male. Ti benedica Yahweh e ti protegga. Yahweh faccia splendere il suo volto su di te e ti conceda pace.
La benedizione biblica appare però qui per scopo più di magia che di preghiera: gli amuleti che la riportano erano destinati a proteggere chi li indossava dalle forze del male; si trattava, insomma, di una specie di oggetto portafortuna, dal significato superstizioso, che illustra un aspetto di religiosità popolare piuttosto lontano dalle idee degli autori biblici.
4. La scrittura
Prime redazioni scritte di testi biblici. La più grande opera della scrittura di questo periodo è costituita da parti rilevanti dell'Antico Testamento: nuclei originari del Pentateuco e della Storia Deuteronomistica, porzioni notevoli dei Profeti e almeno alcuni Salmi ebbero le loro più antiche redazioni prima della fine del regno di Giuda [Su questo argomento si veda quanto scritto nel capitolo precedente].
Testimonianze archeologiche: sigilli. Dal IX-VIII secolo cominciano a farsi abbondanti le testimonianze di scrittura rintracciate dall'archeologia – sigilli e impronte, òstraka e iscrizioni in tombe – con una marcata differenza tra una scrittura più formale (nelle iscrizioni monumentali come quella dell'acquedotto di Siloe dei tempi di Ezechia) e una corsiva, dai tratti più rapidi, tipica degli òstraka o degli scritti su papiro.
Centinaia di sigilli e loro impronte (usati a contrassegnare una proprietà, come simbolo di prestigio e potere ma anche con funzione pratica) databili tra fine IX e inizio VI secolo recano iscritti nomi di persona, molti dei quali ricorrono anche nella Bibbia.
Tra gli esemplari più interessanti, provengono dal regno di Israele il sigillo di Shema', ufficiale del re Geroboamo II, e quello di un funzionario del re Osea, l'ultimo sovrano del regno del Nord.
Tra i sigilli provenienti da Giuda, un'impronta deriva dal sigillo personale del re Achaz e riporta l'iscrizione "Appartenente ad Achaz [figlio di] Yotam, re di Giuda": è il più antico sigillo ritrovato attribuibile a un re dell'antico Israele. Si conosce poi il sigillo del re Ezechia (circa 700 a.C.), con l'iscrizione ("Appartenente a Ezechia, figlio di Achaz, re di Giuda") sovrastata dalla raffigurazione di uno scarabeo alato, lo stesso simbolo che contrassegnava le anfore col marchio lmlk. Un'altra impronta, di particolare rilievo, presenta la scritta "Berakyahu figlio di Neriyahu lo scriba" (circa 600 a.C.), con tutta probabilità quel Baruch (forma breve del nome Berakyahu) che secondo la Bibbia era lo scrivano del profeta Geremia (Ger 36,4-32).
Da vari indizi risulta che impronte di sigillo erano usate anche per sigillare rotoli scritti di papiro. E' probabile che fosse proprio questo il materiale su cui erano scritti, nell'epoca dei regni di Israele e Giuda, testi sia pratici che letterari; ma è ovvio che non si siano conservati, data l'umidità invernale del clima della Palestina, non favorevole a un materiale fragile come il papiro.
Ostraka. I documenti più importanti erano probabilmente scritti su papiro, ma testi brevi e di carattere pratico (es. note di compravendita), erano riportati in scrittura corsiva con inchiostro o incisi su pezzi rotti di ceramica (òstraka), di cui c'era abbondanza perché venivano buttati ovunque.
Si è già detto del gruppo di òstraka dall'archivio del palazzo di Samaria, probabilmente dell'epoca di Geroboamo II (pieno VIII secolo), sorta di "bollette" di pagamento di tasse da parte di proprietari terrieri; in essi è interessante il ricorrere dei nomi di persona: molti sono composti con la forma –yaw (forma breve per Yahweh in Israele, mentre la stessa in Giuda era –yāhū), ma parecchi altri sono formati col nome Ba'al, segno della presenza massiccia nel regno del Nord del culto di questa divinità fenicia.
Molti òstraka vengono da diverse località di Giuda. Del centinaio di frammenti trovati ad Arad gran parte apparteneva all'archivio di corrispondenza di un certo Eliashib, comandante della guarnigione di quella fortezza a fine VII secolo, quasi tutti di limitato interesse nel contenuto (elencano semplicemente il trasporto di prodotti) tranne uno che cita la "casa/tempio di Yahweh" (= il santuario di Arad dedicato a Yahweh o un riferimento al tempio di Gerusalemme?).
"Lettere" da Lakish. Da Lakish proviene un gruppo di òstraka inviati a Ya'ush, comandante della fortezza, da Hoshayahu, un suo ufficiale di stanza in un avamposto vicino: sono 23 "lettere" che, tra le altre cose, testimoniano momenti drammatici dell'attacco babilonese del 587/6, l'anno finale per il regno di Giuda. Una "lettera" è una richiesta di aiuto da un villaggio vicino:
(...) Sappia il mio signore che stiamo aspettando dei segnali da Lakish, secondo gli ordini che mi ha dato il mio signore, perché non vediamo più i segnali di fuoco vicino ad Azekah.
Un'altra sembra accennare a notizie poco incoraggianti giunte allo scrivente dagli ambienti vicini alla corte di Gerusalemme assediata:
Al mio signore Ya'ush. Conceda Yahweh al mio signore di vivere questo tempo in buona salute! Cos'è il tuo servo perché il mio signore gli mandi la lettera del re e le lettere dei principi dicendo "Per favore, leggile!"? E visto che le parole dei principi non sono buone se non per infiacchire le tue mani e le mani di quelli che ne sono informati [...] E ora, mio signore, non scriverai loro dicendo "Perché fate così anche in Gerusalemme?" [...] E com'è vero che Yahweh vive, da quando il tuo servo ha letto le lettere, non c'è più pace per il tuo servo (...).
La lettera parla di alcuni che scoraggiano la gente, accennandone con una terminologia ("infiacchisce le mani"), che ricorda esattamente quel che si diceva in quei momenti del profeta Geremia (Ger 38,4): probabile conferma che l'opinione di Geremia circa l'insensatezza di una resistenza a oltranza ai Babilonesi, per quanto malvista, circolava e coinvolgeva anche dei dignitari (qui "principi").
Ma il più interessante tra gli òstraka di Lakish è sicuramente una lettera che discute sulla capacità di leggere. Piccato da un'osservazione del suo comandante, Hoshayahu vuol dimostrare di essere pienamente in possesso dell'abilità di lettura:
Il tuo servo Hoshayahu ha informato il mio signore Ya'ush: Yahweh faccia udire al mio signore una notizia di pace e di cose buone. E ora, spiega al tuo servo il significato della lettera che hai mandato ieri al tuo servo, perché il cuore del tuo servo è stato male in quanto il mio signore ha detto: "Tu non sai leggere una lettera". Com'è vero che Yahweh vive, nessuno ha mai dovuto leggere per me una lettera. Ogni lettera che mi arriva io la leggo e la so ripetere interamente! E riguardo al tuo servo, si riporta questo: "Il comandante dell'esercito, Konyahu figlio di Elnathan, è partito per andare in Egitto e ha mandato a prelevare da qui Hodavyahu fglio di Ahiyahu e i suoi uomini". E quanto alla lettera di Tobyahu, servo del re, che è andato da Shallum figlio di Yada per mezzo del profeta dicendo "Stai attento!", il tuo servo l'ha mandata al mio signore.
Le ultime righe intendono probabilmente dimostrare che l'ufficiale ha letto attentamente alcune precedenti lettere. Il documento pone dunque la questione dell'alfabetizzazione nell'ambito di una categoria sociale diversa da quella degli scribi; e se ne può dedurre, stando almeno al tono appassionato con cui l'ufficiale protesta la sua competenza, che in questo ambito il possesso dell'alfabetizzazione era un'aspettativa normale per degli ufficiali, e non averlo anche solo a livello elementare (la lettera mostra infatti errori e incertezze linguistiche) era una sorta di marchio negativo.
Due suppliche: il bracciante e la vedova. Un òstrakon particolarmente interessante proviene da Mesad Hashavyahu, una piccola fortezza di fine VII secolo sulla costa mediterranea poco a sud dell'odierna Tel Aviv, dove alla popolazione ebrea si affiancavano dei soldati mercenari greci. Il testo è una lamentela dettata a uno scriba da un povero bracciante che ha dovuto lasciare in pegno il suo mantello e non gli è stato più restituito (chiara somiglianza con la situazione denunciata un secolo prima dal profeta Amos: Am 2,8) e per questo ricorre al governatore locale perché ripari all'ingiustizia:
Il funzionario, mio signore, ascolti la supplica del suo servo. Il suo servo ha finito la mietitura e ha consegnato il grano alcuni giorni fa. (...) E' venuto Hoshayahu figlio di Shabay e ha preso i vestiti del tuo servo (...) Mi saranno testimoni tutti i miei compagni, quelli che mietevano con me sotto il calore del sole, loro mi saranno testimoni che è vero: io non ho fatto niente di male. Allora mi renda i miei vestiti. E' compito del funzionario rendere i vestiti al suo servo, abbia pietà di lui! Non deve rimanere zitto mentre il suo servo è senza i suoi vestiti.
C'è un interessante parallelo a questo documento: è il testo di un òstrakon, di provenienza ignota, conosciuto come "la supplica della vedova":
Possa Yahweh benedirti nella pace. Ora il funzionario mio signore ascolti la sua serva. Mio marito è morto senza figli. La tua mano sia con me, assegna alla tua serva l'eredità su cui hai già discusso con (mio marito) Amasyahu. Il campo di grano che è in Naamah, tu lo hai già dato a suo fratello.
Entrambi i documenti contengono una richiesta rivolta a un superiore da una persona socialmente inferiore circa un problema che viene portato su un piano legale: nel primo caso il lavoratore chiede che la legge sia applicata per tutelare un suo elementare diritto, nell'altro la vedova vorrebbe una sospensiva della legge (che non prevedeva diritti della vedova sulla proprietà del marito deceduto) per beneficiare dell'usufrutto di parte dell'eredità, non avendo lei alcun altro mezzo di sostentamento, mentre il fratello del marito non può dirsi nel bisogno per aver già preso possesso di un campo, e avendo probabilmente il marito (Amasyahu) richiesto al funzionario prima di morire di assegnare alla vedova la sua proprietà.
Quanto era diffusa la scrittura? Queste e altre attestazioni di scrittura mostrano che in ambito israelitico e giudaico, almeno dall'VIII secolo, la scrittura doveva essere diffusa anche al di fuori dei circoli degli scribi, a cominciare da persone occupate in impieghi governativi (ufficiali e addetti a pratiche burocratiche), ma permettendo in parecchi casi anche a gente comune (mercanti, artigiani) di maneggiarne almeno i rudimenti per scopi pratici. Certo, non si può parlare di "alfabetizzazione diffusa"; la competenza della scrittura si limitava ad alcuni ambiti sociali. ma il fenomeno non può essere sottovalutato.
Iscrizioni funerarie. Un'altra categoria di iscrizioni è documentata da tombe.
Da un sepolcro dell'VIII secolo di Khirbet el-Qom non solo proviene la già citata famosa iscrizione di "Yahweh e la sua Asherah", ma si hanno altresì due scritte poste presso l'ingresso della tomba che recitano:
Appartenente a 'Ophai, figlio di Netanyahu. Questa è la sua camera sepolcrale.
Appartenente a 'Uzzah, figlia di Netanyahu.
A Khirbet Beit Lei presso Lakish una tomba forse di fine VII secolo ha offerto varie iscrizioni graffite purtroppo frammentarie; ma una è completa e di notevole interesse per il suo contenuto:
Yahweh è Dio di tutta la terra; le montagne di Giuda appartengono a lui, al Dio di Gerusalemme. Il monte Moriah Tu hai favorito, l'abitazione di Yahweh.
E' un testo che conferisce qualità letteraria all'espressione di una "teologia del tempio di Gerusalemme" pienamente coerente con le idee che sostengono la Storia Deuteronomistica.
Un'importante iscrizione proviene da una tomba scavata nella roccia nel villaggio di Siloe presso Gerusalemme:
Questo è [il sepolcro di Shebna]yahu che è il Capo della casa. Qui non c'è argento né oro, ma [le sue ossa] e le ossa di sua moglie. Sia maledetto l'uomo che lo aprirà.
L'iscrizione è databile a fine VIII secolo in base al carattere delle lettere. Il titolo "Capo della casa" riprende l'identica espressione di vari passi di 1Re (4,6; 16,9; 18,3 ecc.) dove ha il significato di "maggiordomo di corte"; se poi è corretta – come riconoscono tutti gli studiosi – l'integrazione di Avigad alla lacuna iniziale e il Shebna nominato all'inizio è lo stesso "Shebna, maggiordomo" del re Ezechia di cui il profeta Isaia parla con toni duramente critici (Is 22,15-19), stigmatizzando tra l'altro la sua boriosa presunzione proprio in relazione al sepolcro che si era fatto scavare in posizione visibile e ostentata.
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Il presente contributo non ha note, per facilitare la lettura del testo che ha taglio divulgativo. I contenuti si basano sugli studi elencati nella seguente bibliografia.
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