L’autocontrollo ascetico mira all’attuazione del proprio «io»; non vi tende però in vista dell’autoperfezionamento o dell’autoredenzione, bensì nell’intento di risolvere il seguente interrogativo: «Il mio “io” è davvero totalmente aperto verso Dio e verso il “tu” del prossimo?». L’ascesi cristiana non porta con sé tendenze dilaniatrici, né istinti di chiusura in se stessi. Costituisce invece una sosta lungo la via dell’aspirazione verso una più piena attuazione della fede - intesa come ascolto da dare e come risposta da proferire -, come una pausa di ripresa sul cammino in cui l’uomo si abbandona in tutto e per tutto a Dio, sulla strada della carità in cui l’uomo glorifica Dio mediante il suo disinteressato servizio al prossimo e alla comunità. L’ascesi sta dunque al servizio dell’adorazione di Dio e al servizio della comunità fraterna. Essa guarda i singoli problemi via via insorgenti sempre alla luce di quella sublime realtà che è l’amore di Dio e del prossimo2.
Nell’ambito della chiesa l’ascesi corporale era ed è sempre la via per eccellenza di conoscenza teologica. L’uomo non può conoscere la verità della vita, la verità di Dio e la verità della sua esistenza solo con categorie intellettuali ... La verità piena della rivelazione di Dio, la verità riguardo alla pienezza e alla totalità della vita, è una conoscenza integrale in una personale esperienza, secondo il senso biblico di «conoscenza» che si identifica con la relazione e la comunione d’amore. E come la vera relazione amorosa e la vera comunione d’amore sono una partecipazione e un’autodonazione totali, corporee e psichiche, così l’amore di Dio, la relazione e la comunione vere con lui, la conoscenza del suo volto, presuppongono anche la partecipazione corporea dell’uomo, l’esercizio corporeo di autodonazione3
Questi tre testi, di tre teologi cristiani europei di questo secolo, appartenenti a tre diverse confessioni, parlano dell’ascesi cristiana con accenti e sfumature differenti, ma tutti ne sottolineano la necessità. E ci consentono di introdurci nel nostro tema.
Ascesi (da askeîn: «esercitare»,«praticare») significa esercizio, insieme di sforzi attraverso i quali si vuole un progresso, una crescita nella vita morale e spirituale. Nel suo significato originario l’ascesi indicava qualsiasi esercizio fisico, intellettuale o morale svolto con un certo metodo. Non deve il ballerino, per raggiungere la leggerezza che domina lo spazio e vince la gravità, fare ore e ore di esercizio alla sbarra? Sì, lo sportivo, il soldato, il filosofo nell’esercitarsi in vista di un progresso fanno «ascesi», e così chi si esercita nella vita cristiana. Infatti per sviluppare una qualità o conservarla è indispensabile dedicarsi a certi esercizi: un pianista deve esercitarsi nell’arte, uno sportivo deve allenarsi, e ugualmente nella vita spirituale occorre allenarsi, occorre ripetere esercizi per migliorare, per riabilitare, per rendere più forti le facoltà spirituali, per acquistare insomma una migliore qualità di vita cristiana.
Ma c’è anche un modo molto semplice di definire l’ascesi nelle sue forme più elementari: è una dialettica in tre tempi dell’uomo di fronte alle cose e alle creature. Ci sono cose, infatti, da cui è bene astenersi completamente, non perché siano cattive, anzi sono buone, ma perché non sono compatibili con le scelte fatte o da fare: sarà questione di un’astensione radicale e perenne, oppure di un’astensione temporanea, provvisoria, ma in ogni caso c’è un’astinenza da fare; ci sono poi cose che richiedono una relazione regolata, sapiente; e infine c’è uno spazio in cui prevale e regna la libertà, uno spazio in cui di una cosa si può abbondare o fare a meno: è il terzo tempo. Questo è il punto di arrivo che significa libertà per me e rapporto di comunione tra me e le creature. L’ascesi è l’esercizio di questa dialettica.
Certo, nelle Scritture sante non troviamo un metodo che porti automaticamente a un progresso attraverso esercizi appropriati, ma certamente vi troviamo l’idea che attraverso sforzi, esercizi, lotte, rinunce, accettazione delle sofferenze e delle prove possiamo avanzare guidati dallo Spirito su un cammino in cui il Signore Gesù ci precede. C’è una battaglia, una lotta che il cristiano deve condurre in vista della vittoria sulla mondanità, e questa lotta è «bella» (1Tm 1,18; 2Tm 4,7), è lotta della fede (1Tm 6,12) e si combatte non con le armi materiali ma con quelle spirituali della giustizia e della luce (Ef 6,10-18; Rm 6,13-14 e 13,12), armi che sono anche vigilanza (Ef 6,18), sobrietà (1Ts 5,6-8), temperanza (1lCor 9,25), padronanza del corpo (1Cor 9,27), capacità di sofferenza per il Signore (Fil 1,29-30; Eb 10,32-33).
Questa lotta è anche vista come esercizio-gara santa e divina (ghymnasìa: 4Mac 11,20; 1Tm 4,8) in cui il credente è athletés (4Mac 6,10) e nel linguaggio paolino uno che corre (Rm 9,16; 1Cor 9,24; Gal 2,2; Fil 2,16; 2Tm 4,7; Eb 12,1) verso la meta che è la comunione con il Signore. Sì, quale soldato o atleta il cristiano deve esercitarsi per far sì che emerga il corpo di gloria nel suo corpo di miseria (Fil 3,21) attraverso la vittoria pasquale di Cristo: si tratta di «mortificare», di «dare la morte» agli elementi mondani che ci alienano (Col 3,5), in modo che si sviluppi più facilmente il nostro «uomo nascosto del cuore» (1Pt 3,4).
Potremmo dire che l’ascesi è l’insieme delle regola attraverso le quali si può rendere vittorioso un combattimento: «non riceve la corona se non colui che ha lottato secondo le regole» (2Tm 2,5).