Formazione Religiosa

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 21:21

Indignarsi è lecito? (Giordano Muraro)

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Il titolo potrebbe sembrare strano, ma non è così. Il Sole 24 ore del  29 maggio 2011 titolava un suo articolo: “Il disgusto non è un diritto”. Ma è proprio vero? Non abbiamo più il diritto di scandalizzarci?

Diciamo "scandalo", ma sappiamo cos'è lo scandalo? Perché oggi si tende a deridere o a compassionare chi si scandalizza? Sembra che tutto debba essere tollerato e chi si scandalizza sembra appartenere a un passato che non esiste più. Passano gli anni, le culture e i costumi si trasformano. Siamo diventati più maturi o i nostri cuori si sono induriti e nulla più ci turba? Ma soprattutto sappiamo ancora capire e difendere la verità dell'uomo?
Vediamo che durante il processo a Gesù il sommo sacerdote si straccia le vesti scandalizzato per alcune sue affermazioni. Anche i farisei si scandalizzano di fronte a certe sue prese di posizione. Si scandalizza anche Gesù e si scandalizza dei farisei quando si scandalizzano. Ma soprattutto lancia un terribile "guai" contro chi scandalizza; e non esita a dire che se qualcosa di noi (l'occhio, la mano, il piede) è occasione di scandalo, dobbiamo disfarcene. Si scandalizzano anche alcuni personaggi delle parabole, come quelli che reagiscono di fronte al servo a cui è stato condonato il debito di diecimila talenti e a sua volta non condona un debito di pochi danari; o come il fratello maggiore del figliol prodigo che rimane disgustato perché si fa festa al fratello che è ritornato a casa dopo aver dissipato il patrimonio paterno. E arriva a sconvolgere il nostro modo di pensare quando dice che egli stesso diventa occasione di scandalo per molti.
Ma c'è scandalo e scandalo. Quello dei saggi che si sentono offesi dal comportamento dei perversi; dei deboli che si spaventano di tutto quello che può turbare la loro sensibilità; di quelli che vogliono rifarsi una verginità condannando pubblicamente quello che poi fanno in privato; di quelli che gonfiano e stravolgono i comportamenti dei loro avversari per metterli in cattiva luce e screditarli. Per questo si parla di scandalo vero, distinto dallo scandalo farisaico, dallo scandalo dei "pusilli", dallo scandalo strumentale.

Scandalo e disgusto

Abbiamo un ricco vocabolario per indicare la reazione di fronte a un fatto sgradevole: stupore, scandalo, disgusto, schifo, indignazione, e altri ancora. Ognuno ha un significato diverso, ma tutti indicano la reazione della persona di fronte a un fatto che colpisce negativamente. E la reazione sana della persona che percepisce una cosa, un fatto, un comportamento come offensivo e pericoloso per la dignità dell'uomo, e quindi lo rifiuta e si adopera per eliminarlo.
Per questo ci siamo stupiti quando il 29 maggio [2011] su Il Sole 24 ore abbiamo trovato un articolo dal titolo: "Il disgusto non è un diritto". Abbiamo o no il diritto di rifiutare e di condannare quello che riteniamo lesivo della nostra dignità? Non dobbiamo forse sentirci "normali" quando ci scandalizziamo di fronte all'oscenità, corruzione, malgoverno, ingiustizia, arroganza, violenza e a tutto quello che offende la dignità dell'uomo? Perché di fronte a questi e altri fatti dovremmo lavarci le mani come Pilato, diventando così conniventi dell'ingiustizia? È tolleranza o colpevole indifferenza? L'articolo sopra citato è la presentazione di un saggio di Martha C. Nussbaum, Disgusto e umanità. L'orientamento sessuale di fronte alla legge, nel quale l'autrice sostiene che «il disgusto non è un diritto», e quindi non può essere il fondamento per condannare tutti quei comportamenti e quei modi di vivere che sono considerati un'offesa; per cui se alcuni percepiscono il comportamento omosessuale come disgustoso, non possono, in nome del loro disgusto, invocare una legge che lo condanni e lo proibisca. E una posizione ragionevole.
Infatti abbiamo visto cosa può capitare quando la diversità del modo di pensare, di sentire e di vivere viene presa come argomento per condannare, punire e sopprimere chi genera quei comportamenti. Le pulizie etniche, la Shoah, le persecuzioni, i genocidi sono il frutto di colpevole intolleranza. Ma allora scandalizzarsi è un bene o un male? Abbiamo il diritto di reagire di fronte a tutto ciò che è turpe e offensivo, sia fisicamente che moralmente, o dobbiamo accettare il principio dell'assoluta tolleranza e affermare che tutto ha diritto di cittadinanza?
 
Storia dello scandalo  

Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e fermarci a riflettere sul fatto complesso dello scandalo. E’ composto almeno di tre elementi: la persona che produce lo scandalo, il fatto che scandalizza, la persona che lo subisce. Questo da un punto di vista statico. Invece da un punto di vista dinamico vediamo che nello scandalo possiamo distinguere tre momenti. E anzitutto un fatto interiore della persona e precisamente la reazione a qualcosa (fatto, comportamento, azione) che viene percepito come disgustoso e lesivo della dignità della persona, perché può compromettere il suo sviluppo e potrebbe trascinare molte persone a ripeterlo nella propria vita. Le parole volano, dice va un antico proverbio, ma gli esempi trascinano, sia nel bene che nel male. Ed è proprio questa pericolosità che spinge a richiedere che quel comportamento venga denunciato, proibito ed eliminato. Per esempio: la droga è un fatto che danneggia la persona e, siccome l'occasione fa l'uomo ladro, potrebbe indurre chi non è attento e vigilante ad assumerla e a subirne gli effetti devastanti. La persona normale non si limita a rifiutarla per sé, ma chiede che venga condannata e proibita per evitare che diventi un flagello per tanti altri. Né si può sostenere che è un fatto privato e che i fatti privati devono essere lasciati alla coscienza personale, perché in molti casi vediamo che gli uomini per ignoranza o per fragilità non sanno reggere alla tentazione di ciò che appare come fonte di benessere a buon mercato.

Dal disgusto alla condanna

Ora, finché lo scandalo si limita a essere la reazione interiore di fronte a qualcosa che disgusta, non nascono grossi problemi. Tutt'al più si può osservare - come fa san Tommaso nella II-II, q.43, a.5 - che quando lo scandalo è accompagnato dal timore di subirne gli effetti deleteri non è segno di perfezione, ma di fragilità morale, perché chi è solidamente stabilizzato nella tendenza al bene non teme di esserne distolto da esempi negativi: giudica i fatti per quello che sono, e non si lascia da essi condizionare. Il problema nasce invece quando alla reazione interiore segue la richiesta di proibire i fatti che vengono ritenuti scandalosi. Allora incominciano le discussioni e le contrapposizioni. Chi decide cosa è veramente scandaloso? Vediamo che gli stessi fatti possono essere considerati virtuosi o indegni della persona secondo la diversità di sensibilità, di cultura, di tradizione.
La vendetta può essere considerata un dovere o una aberrazione; il burqa è scandaloso per gli europei ed è invece raccomandato in altre popolazioni; certi tipi di corruzione e concussione producono un senso d'indignazione e di disgusto in alcuni e non in altri («Ti scandalizzi per così poco?»). C'è chi si scandalizza per un'inezia e chi digerisce tutto senza batter ciglio, anzi è favorevole a quei comportamenti che vengono condannati da altri. Questa diversità di percezione produce giudizi diversi. A chi bisogna dar retta, a quelli che reagiscono con scandalo e indignazione o a quelli che non avvertono quei fatti come scandalosi? Come si fa a stabilire quali comportamenti sono veramente aberranti e scandalosi e quali no?
Per questo abbiamo detto che finché l'indignazione e lo scandalo si limitano a essere una reazione interiore della persona, non crea problemi di tipo sociale; ma li crea quando si chiede che i fatti ritenuti scandalosi vengano proibiti e puniti.
Avviene anche in famiglia, quando si deve decidere come educare i figli. C'è chi è considerato un lassista e chi invece viene tacciato di rigorismo. C'è chi s'indigna perché ai figli viene insegnato che ognuno deve restare nella sua terra e bisogna difendersi dagli immigrati, e chi invece ritiene che la terra è di tutti e tutti hanno diritto a usufruire dei beni materiali là dove si trovano, anche se bisogna spartirli. In altre parole: le difficoltà crescono quando al giudizio segue la richiesta di formulare leggi restrittive che impediscono e puniscono certi comportamenti e stili di vita, specialmente quelli che sembrano non essere dannosi per terzi non consenzienti. Non è la reazione personale di fronte a certi fatti che crea problemi, ma la condanna sociale e la richiesta d'intervenire su fatti scandalosi.
Non basta. Anche nel caso in cui un fatto viene giudicato unanimemente scandaloso, nasce talora il problema sull'opportunità di proibirlo e di comminare sanzioni. La droga, il gioco, la prostituzione, il divorzio, l'aborto, e tanti altri comportamenti possono essere considerati un male. Ma è opportuno proibirli per legge e punirli? Non c'è il pericolo che la proibizione scateni dei mali ancora peggiori? Il proibizionismo si proponeva di estirpare i mali prodotti dall'alcol; ma i risultati non sono stati quelli desiderati. È il motivo per cui ancora oggi si discute se sia più dannoso continuare a proibire la droga o sia meno dannoso liberalizzarla, come è avvenuto per il gioco, la prostituzione e tanti altri mali sui quali il legislatore decide di non intervenire, o interviene regolamentandoli.

Tra rigorismo e permissivismo

Allora tutto dev'essere permesso e la tolleranza deve regnare sovrana? Tutto deve avere diritto di cittadinanza e la moralizzazione della società dev'essere lasciata solo alla coscienza personale dei cittadini? Non esiste forse una valenza pedagogica della legge, cioè il diritto del cittadino a essere aiutato  anche dalle leggi nella conoscenza e nella pratica del bene e del giusto? È fuori dubbio che la vita morale non è il prodotto delle leggi ma dell' educazione e della convinzione interiore; ma è anche vero che la natura sociale dell'uomo richiede anche il sostegno che viene dalla società attraverso la sua legislazione.
Non esistono solo leggi che proibiscono il male, ma leggi che indicano e favoriscono il bene. E vero che non tutto dev'essere proibito, ma è altrettanto vero che non tutto dev'essere ammesso e tollerato. Il rigorismo e il permissivismo sono eccessi da evitai re. Esiste un giusto mezzo che permette al singolo di essere educato al bene e alla società di formulare una legislazione equilibrata che sostenga i suoi cittadini nella lotta che devono ogni giorno sostenere tra il bene e il male.

Non è sufficiente indignarsi

In questi ultimi tempi sono stati pubblicati alcuni saggi che denunciano i danni di un permissivismo che si diffonde in modo preoccupante e che invade la vita non solo della società, ma anche delle famiglie e dei singoli. Si sta affermando sempre più il principio che tutto deve essere permesso, con l'unico limite che non impedisca o non offenda i diritti degli altri. Si è andati oltre e si sta affermando una tendenza che attacca polemicamente e deride quelli che in qualunque modo si permettono di condannare fatti e comportamenti ritenuti indegni. Ci si trincera dietro il principio che il privato dev'essere ben distinto dal pubblico; che quello che avviene tra le mura domestiche non deve interessare gli altri; che è permesso e lecito tutto quello che non ha rilevanza giuridica.
Ma è vera questa distinzione tra pubblico e privato? E vero che ciò che avviene tra le mura domestiche non ha effetti sociali? È vero che ciò che non ha rilevanza giuridica deve essere sempre tollerabile? Da dove nasce questa frantumazione della persona tra privato e pubblico, tra giuridico e morale? E fuori dubbio che a livello concettuale queste distinzioni reggono. Ma nella realtà è necessario ricordare dei principi che nascono dalla stessa natura della persona e che aiutano a capire il senso preciso di queste distinzioni.
Il primo e fondamentale principio è quello dell'unità della persona umana in tutto il suo essere e il suo agire. La persona porta sé stessa con quello che è, con quello che ha, con quello che pensa in tutti gli ambiti in cui si trova a vivere. Una persona ingiusta, turpe, perversa, tenderà a produrre sempre le azioni che le sono connaturali. Potrà cercare di correggersi e di contenersi e di assumere una personalità diversa secondo che agisce nel pubblico o nel privato; ma difficilmente potrà essere esente dai condizionamenti interiori. Agere sequitur esse, dicevano gli antichi: «Si agisce come si è». Ed è ingenuo pensare che il proprio modo di essere non condizioni le proprie scelte e le proprie decisioni anche quando i comportamenti del nostro privato non sono giuridicamente rilevanti e perseguibili.

Il diritto allo scandalo

Per questo è necessario rivendicare il diritto di indignarsi e di manifestare pubblicamente il proprio dissenso verso chi anche solo nel privato ha comportamenti indegni dell'uomo, perché da un'indignazione diffusa può nascere una cultura e un'opinione pubblica che mette al bando tutto ciò che attenta alla dignità dell'uomo. Oggi è possibile.
Lo ha dimostrato l'ultimo referendum. All'indomani della pubblicazione dei risultati, il giornalista Marco Belpoliti si chiedeva su La Stampa: «Twitter, il Davide informatico, ha sconfitto il Golia dei network televisivi?». E rispondeva: «Sembrerebbe proprio di sì. La vittoria dei referendum è stata segnata dal passaparola dei 140 caratteri che hanno scandito il passaparola virale». Marco Belpoliti è l'autore del libro Senza vergogna, in cui dimostra ampiamente come ci hanno rubato il senso della vergogna, e con la vergogna hanno rubato all'uomo uno degli strumenti più semplici per proteggere la propria umanità e quella degli altri.
Ma oggi si sta verificando un fatto nuovo: il cittadino incomincia ad avere nelle mani il potere che prima era solo dei potenti, può far sentire la sua voce e indignazione. E dall'indignazione di molti può nascere una cultura che si contrappone al predominio dei potenti che fino a ieri avevano, essi soli, gli strumenti per imporre a tutti idee e comportamenti spesso indegni dell'uomo.

Giordano Muraro

(da Vita Pastorale, n. 8, 2011, p. 36)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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